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L'antichità in laguna
di Lorenzo Fort
Scheda biobibliografica

Venezia, la gloriosa città sulle lagune già sede della Repubblica marinara, rinnova oggi i fasti dell'antichità greco-romana. Ne sono prova due eventi – in particolare il secondo – che qui rapidamente richiamo, anche sulla base delle testimonianze giornalistiche, sostanzialmente contigue.

Domenica 21 settembre, dalle 10 di mattina a mezzanote, si è svolta in campo Santa Margherita una lettura no-stop di un prezioso testo rimasto finora inedito: niente meno che l'edizione integrale dell'Iliade omerica tradotta in veneziano da Giacomo Casanova (Venezia 1725 - Dux, Boemia, 1798) e finalmente – pare – destinata alle stampe (nel prossimo novembre?) per iniziativa dell'Editoria Universitaria in collaborazione con la Biblioteca Marciana. Un vero gesto d'amore nei confronti della amata/odiata città (pensiamo alla reclusione ai Piombi con relativa, rocambolesca fuga) da parte del fin troppo noto personaggio, avventuriero e amatore impenitente ma, sopra tutto, fine letterato. Figlio di attori (ma per sua stessa dichiarazione, da considerarsi bastardo del patrizio Michele Grimani), studente di diritto all'Università di Padova, chierico nella città lagunare e in Calabria, segretario del cardinale Acquaviva a Roma, soldato della veneta armata in Oriente, violinista nel teatro S. Samuele di Venezia, ramingo in Francia, a Dresda, Praga, Vienna; quindi, una volta fuggito dal carcere, di nuovo a vagabondare per l'Europa (Olanda, Germania, Svizzera, Italia, Polonia, Russia), seducendo innumeri esponenti del gentil sesso, cimentandosi al gioco, battendosi a duello, praticando le arti magiche, fino a concludere la vita come segretario e bibliotecario del conte C. G. di Waldstein. Intraprendente, energico, attivo, scrittore di vaglia, noto in particolare per l'Histoire de ma fuite des Plombs (1788) e per i licenziosi Mémoires (apparsi postumi due volte, in edizioni ripulite e corrette, tra il 1825 e il 1838, fino all'edizione integrale Brockhaus del 1962), ma già autore di svariati scritti e moltissime lettere, oltre che, tra il 1775 e il 1778, di una traduzione toscana della stessa Iliade in ottava rima – sorta di anticipazione della più tarda versione veneziana. Così commenta l'iniziativa all'aperto – nelle premesse, almeno, originale e produttiva – lo stesso promotore Albert Gardin, editore, che ha acquisito dall'Archivio di Stato di Praga i diritti di riproduzione del manoscritto casanoviano: «La "maratona" ha lo scopo di far conoscere in anteprima i contenuti e lo stile di un testo bellissimo». Infatti si tratta di «una delle composizioni più alte della ricca ma poco conosciuta letteratura veneta, e con essa Casanova si colloca tra gli scrittori che l'hanno nobilitata. I primi due canti, da noi editi nel 1997 e nel 1998, non avevano avuto l'atteso riscontro nelle librerie; ma la determinazione a pubblicare l'opera non è mai venuta meno, convinti come siamo della sua liricità, originalità e importanza» (Massimiliano Goattin, «Il Gazzettino» 21-09-03).

Appare in «io donna» («Corriere della Sera», sabato 27 settembre) un lungo articolo illustrato di Susanna Legrenzi dal titolo quanto mai invitante: "Classico veneziano", ossia, come recita il sottotitolo: "Da Piazza San Marco all'Archivio di Stato. Un insolito itinerario nel tempo ripercorre i luoghi dove la città imperatrice dei mari ha incontrato Roma caput mundi". Guida del suggestivo percorso un cicerone davvero straordinario: il latinista Mario Geymonat, ordinario dell'Università veneziana. L'inizio è in campo San Tomà, in un ristorante che ha la sala istoriata di cento e più versi scritti nella lingua dell'Urbe. Il latino d'altronde «in laguna, oggi, lo si studia con rigore a Ca' Foscari e per un manipolo di audaci ed eccellenti borsisti nell'Isola di San Servolo. Viene evocato davanti al trono di Attila nella silenziosa Torcello, anche se Attila nell'isola cara anche a Hemingway forse non vi è mai nemmeno passato. Quanto al resto, tra le calli della Serenissima» il nobile idioma è una «presenza discreta, la tessera di un rebus, un insieme di tracce nascoste dalla storia di una città che ha sempre guardato il Mediterraneo dall'alto. Eppure – continua S. Legrenzi – in questa città cartolina, dove tutto è noto e tutto è sconosciuto, basta darsi appuntamento in piazza San Marco per (ri)scoprire una prima preziosa testimonianza del controverso rapporto tra Venezia e il mondo classico: è il bassorilievo dei Tetrarchi. Murato sulla cantonata del tesoro della Basilica (lato Palazzo Ducale) conduce dritti nel cuore della riforma dello Stato romano di Diocleziano. Ma apre anche a un mistero: ancora oggi manca un dato sicuro sia sulla provenienza dei rilievi sia sul riconoscimento dei singoli personaggi. Sansovino nel 1581 affermava che i Tetrarchi fossero arrivati a Venezia dal Saccheggio di Acri (1258). Ma già gli Annales Ianuenses sembravano smentirlo, creando un rebus nel rebus».

Prosegue così, tra ponti, calli, fondamente, campi e campielli, il viaggio veneziano alla ricerca della latinità (e grecità): dal Museo Archeologico Nazionale (il quale, tra i pezzi di inestimabile valore artistico, annovera l'Afrodite Urania, ritenuta da molti studiosi un originale di Fidia, o anche l'imperdibile busto dell'imperatore Vitellio, II secolo d. C.) alla chiesa di Santa Maria del Giglio – fastoso esempio di barocco – sulla cui facciata, in basso, «una serie di piante evocano le città fortezze idealmente dominate dalla Serenissima: nell'ordine, Zara, Candia, Padova, Corfù, Spalato e... Roma»; da calle de la Vida (tra campo San Polo e i Frari), remota ospite di Aldo Manuzio ed Erasmo da Rotterdam – celebre, il primo, per la sua attività di tipografo ed editore di libri in greco e in latino, veneziano di elezione il secondo, dopo la stesura dell'opera più nota (L'elogio della pazzia): vicini di casa, i due, a quanto pare, si scambiavano i testi per strada – da calle de la Vida, dunque, ai Frari, «dove nel 1822 Venezia inaugurò il primo archivio generale veneto, oggi Archivio di Stato, uno tra i più importanti in Italia e nel mondo. Nell'ex Convento dei frati minori, un capolavoro nel capolavoro, sono conservati oltre mille anni di vita in laguna. L'affresco che si offre alla vista è spettacolare: allo stato attuale il patrimonio di pergamene, carte e disegni raggiunge settantotto chilometri di estensione lineare. Qui, nelle celle dei frati, tra mappali avvolti in tubi che disegnano la geografia della Repubblica come bocche di cannone, Venezia si inchina all'ufficialità della lingua del Mondo Antico. Tra i documenti c'è l'intero Archivio del Doge (1364-1797): i più infinitesimali retroscena della Serenissima, come dire, la Storia. Dietro le quinte».


26 ottobre 2003 


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