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Nota su Poesie Soffocate di Letizia Lanza
di Valeria Serofilli
Scheda biobibliografica

Una poesia che veramente salva la vita, quella della Lanza, come sostiene l’autrice stessa in apertura di raccolta, riprendendo l’omonimo saggio di Donatella Bisutti [1]
 
Una poesia in grado di agire sulla realtà, ricreandola in una sorta di cortocircuito fra il macrocosmo e il microcosmo interno.
È questo che si evince dalla lettura dei versi di Letizia Lanza, di composizione recentissima, risalenti ai due mesi post mortem di Franco Sartori. 
Versi tutt’altro che “soffocati”, che urlano anzi la propria dichiarazione di poetica: esaltazione della parola che ungarettianamente scavata sia nella vita come in una roccia.
Una silloge complessa, questa della Lanza, ad iniziare dal profilo formale, in quanto articolata nelle due sezioni Martyrion e Prequel.
La prima comprende liriche accomunate dal sottile ma tenace, quasi materico, fil rouge del DOLORE, nella cui tematica l’autrice «compie un’indagine con linguaggio minimale ma affilatissimo» (Mauro Ferrari), per non dimenticare bensì esorcizzare, ricorrendo al valore salvifico della parola poetica, quanto mai necessaria in un mondo di linguaggio - manipolazione. E la parola della Lanza offre la via per risalire dalle profondità del lutto, come ha rilevato anche Cesare Ruffato.
 
Nella seconda sezione, Prequel, che riproduce al suo interno testi poetici che si riferiscono agli anni giovanili della Lanza, l’autrice chiede qualcosa in cui credere per poter rivestire l’anima di ragioni (Fede infida), per descrivere un mondo il cui tramonto è un sorriso sui volti (Gioia) e le immagini muliebri evocano fiori d’intatta purezza, anche se sgualciti (Filles de joie).
 
Sull’esperienza poetica s’innesta quella di antichista e di filologa, entrambe rese evidenti dalle particolari titolazioni (Fasma, Dies irae, Afasia), dalle ricercatezze di costrutto e terminologiche, quali “Inaridío nihilo”, “esultanza poematica”, “scampanío ubiquitante”, “orchico luto”, “mascheromiastica”, “desievole destructio” e ancora dallo scintillio “pulchro” e dalla “pauperies” (esempi tratti nella loro totalità dalle liriche appartenenti alla sezione iniziale dell’opera).
S’impone all’attenzione per la significativa pregnanza il verso “cogente vivomaterico contatto” della lirica Cat, in cui la saggezza felina consiste proprio in quel felice e grato inanellio di coda – tema, questo del nodo, caro al Petrarca e al Tasso [2]
Per concludere, vale senz’altro la pena di entrare in questo percorso poetico in cui Letizia Lanza ha saputo cogliere guizzi di vita improbabile nella vicenda quotidiana, in un sapiente e originale abbinamento di elaborazione tecnica e forza espressiva.
 
 
[1] La Lanza è un’estimatrice della Bisutti, come testimoniano i saggi che ha dedicato all’autrice lombarda, fra i quali La rabbia etica della poesia bisuttiana in Il diavolo nella rete, Joker, Novi Ligure 2003, pp. 39-42.
[2] Cfr. Petrarca, Canzoniere LXXXIX «(…) che in mille dolci nodi (…)» e Tasso, La Gerusalemme VI, V 23 «torse in anella».


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