Non
si tratta di conservare il passato, ma di realizzare le sue speranze
Horkheimer-Adorno,
Dialettica
dell'illuminismo
Recensioni,
note critiche, extravaganze
Redazione
Sergio Audano,
Gianni Caccia,
Maria Grazia Caenaro
Claudio Cazzola,
Lorenzo Fort, Letizia Lanza
Nota su Poesie Soffocate di Letizia Lanza
di Valeria
Serofilli
Scheda
biobibliografica
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Una
poesia che veramente salva la vita, quella della Lanza, come
sostiene
l’autrice stessa in apertura di raccolta, riprendendo l’omonimo saggio
di Donatella Bisutti [1]
Una
poesia in grado di agire sulla realtà, ricreandola in una sorta
di cortocircuito fra il macrocosmo e il microcosmo interno.
È
questo che si evince dalla lettura dei versi di Letizia Lanza, di
composizione
recentissima, risalenti ai due mesi post mortem di Franco Sartori.
Versi
tutt’altro che “soffocati”, che urlano anzi la propria dichiarazione di
poetica: esaltazione della parola che ungarettianamente scavata sia
nella
vita come in una roccia.
Una
silloge complessa, questa della Lanza, ad iniziare dal profilo formale,
in quanto articolata nelle due sezioni Martyrion e
Prequel.
La
prima comprende liriche accomunate dal sottile ma tenace, quasi
materico,
fil rouge del DOLORE, nella cui tematica l’autrice «compie
un’indagine
con linguaggio minimale ma affilatissimo» (Mauro Ferrari), per
non
dimenticare bensì esorcizzare, ricorrendo al valore salvifico
della
parola poetica, quanto mai necessaria in un mondo di linguaggio -
manipolazione.
E la parola della Lanza offre la via per risalire dalle
profondità
del lutto, come ha rilevato anche Cesare Ruffato.
Nella
seconda sezione, Prequel, che riproduce al suo interno testi
poetici
che si riferiscono agli anni giovanili della Lanza, l’autrice chiede
qualcosa
in cui credere per poter rivestire l’anima di ragioni (Fede infida),
per descrivere un mondo il cui tramonto è un sorriso sui volti (Gioia)
e le immagini muliebri evocano fiori d’intatta purezza, anche se
sgualciti
(Filles de joie).
Sull’esperienza
poetica s’innesta quella di antichista e di filologa, entrambe rese
evidenti
dalle particolari titolazioni (Fasma, Dies irae, Afasia),
dalle ricercatezze di costrutto e terminologiche, quali
“Inaridío
nihilo”, “esultanza poematica”, “scampanío ubiquitante”,
“orchico
luto”, “mascheromiastica”, “desievole destructio” e ancora dallo
scintillio
“pulchro” e dalla “pauperies” (esempi tratti nella loro totalità
dalle liriche appartenenti alla sezione iniziale dell’opera).
S’impone
all’attenzione per la significativa pregnanza il verso “cogente
vivomaterico
contatto” della lirica Cat, in cui la saggezza felina consiste
proprio
in quel felice e grato inanellio di coda – tema, questo del nodo, caro
al Petrarca e al Tasso [2]
Per
concludere, vale senz’altro la pena di entrare in questo percorso
poetico
in cui Letizia Lanza ha saputo cogliere guizzi di vita improbabile
nella
vicenda
quotidiana, in un sapiente e originale abbinamento di elaborazione
tecnica e forza espressiva.
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