Non
si tratta di conservare il passato, ma di realizzare le sue speranze
Horkheimer-Adorno,
Dialettica
dell'illuminismo
Recensioni,
note critiche, extravaganze
Redazione
Sergio Audano,
Gianni Caccia,
Maria Grazia Caenaro
Claudio Cazzola,
Lorenzo Fort, Letizia Lanza
Federico
Moro: La voce della Dea. Il romanzo degli antichi Veneti
di Letizia
Lanza
Scheda
biobibliografica
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È in corso
di pubblicazione presso le Edizioni Helvetia di Spinea il nuovo
romanzo
a sfondo mitico-storico di Federico Moro. Lo spunto è offerto da
una notizia di Tito Livio – il quale, nel X libro della sua Storia,
racconta
di un'incursione a scopo di razzia da parte di mercenari Greci e Galli
a danno dei Veneti. L'episodio non ha altre conferme, tuttavia
s'inserisce
bene in quel contesto culturale che, maturato durante il principato di
Augusto, veicola la derivazione di Roma dalla Troia priamea distrutta
dagli
Achei.
In ambito veneto ciò produce
la leggenda dello sbarco alle foci del Brenta – allora Meduaco
–
del fuggitivo Antenore e degli Enetoi di Paflgonia. Mito tanto
resistente
da attraversare i secoli e trovare nuovo impulso nella Padova
umanistica
di Marsilio Ficino.
Su questo
substrato leggendario
– e sul culto, storicamente accertato, di una misteriosa Dea Madre
venerata
anzi tutto ad Ateste (l'antica Este) – Moro costruisce la sua
narrazione
cercando altresì di farsi interprete del mito – divenendo esso
stesso
parte dell'epos – al fine di ricordare la fondamentale importanza non
solo
della conoscenza, ma anche della sua valorizzazione.
Del romanzo viene presentato,
qui, l'incipit.
Notte gelida, torva, piovosa.
La luna si nascondeva dietro il fronte nuvoloso accatastato dallo
scirocco
sulla Pianura. Il Meduaco, gonfio, sibilava contro gli argini di terra
fradicia. Più a oriente il fiume si divideva. Campi e paludi ne
accompagnavano i due corsi sino ai lidi costieri. L’Adriatico ne
ingolfava
le foci. Acqua dolce e salata, gorghi velenosi in cui annegavano
sabbia,
barene, canneti…la notte.
Nerka Trostiaia si svegliò
di soprassalto con il corpo inondato di sudore acido. Il letto ne era
saturo.
Si appoggiò una mano sul petto. “Sta’ buono” bisbigliò al
cuore che scalciava. Ad ogni colpo la pelle si riempiva di brividi. Lo
sguardo di Nerka si perse nel buio della camera, poi inciampò
nel
braciere sotto la finestra. Lentamente, riemersero le sagome degli
oggetti
familiari. Per terra, appallottolata, scovò la coperta di lana
di
Creta. L’oscurità ne inghiottiva i colori vivaci, ma ne
riconobbe
subito la trama ruvida. Nerka aveva sempre amato quel tessuto venuto
dal
mare. Forse perché le ricordava il primo viaggio della vita.
“Quanta
paura!” pensò con dolcezza “il fiume, la città, la
folla…un’avventura
ai limiti del mondo” sospirò “e si trattava appena di Adria.” La
frenesia del grande emporio fluviale greco le scivolò di nuovo
sul
viso, fresco alito fruttato. Il vento, intanto, si accaniva sui
battenti
di legno. “Maledettamente pericoloso per chi navighi” borbottò
Nerka.
Spezzoni del sogno bruscamente interrotto s’affastellarono sotto la
lingua:
vele, remi e uomini sbattuti da onde e paura. Scacciò il
pensiero
con un gesto della mano. All’improvviso le sembrò che la pioggia
calasse. Forse lo scirocco stava rallentando. Le ciglia tremarono,
quindi
si abbassarono e lei si riaddormentò. Dopo qualche ora, la luce
del giorno cominciò a diffondersi in modo uniforme e a
giocare
con le palpebre, fino a svegliarla. Nerka si stiracchiò, quindi
allungò un braccio oltre il lenzuolo e tese l’orecchio. “Sono
già
tutti alzati” mormorò “…devo sbrigarmi!” E si buttò
giù
dal letto.
1
maggio 2003
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