1. Magna
Grecia, VII-VI Sec. a. C.
M’ha
raggirato l’ospite dalla voce obliqua,
per poca argilla si gode il mio
frumento:
sommerga il mare la sua nave,
succhi
le vele e quelle barbe sorridenti.
Ma è bella la città,
saetta bianco
il tempio sulla collina dura:
compagna all’eco falsa del mercante
suona la voce luminosa di quell’uomo
che non propone scambi, e chiuso
nel suo mantello scruta terra
e cielo.
2. Maratona,
490 a. C.
Punte
di lancia, il balenio degli occhi:
su onde inospiti ci hanno ributtato
dal campo arido di vento:
libertà han dato nome
a queste pietre
che osarono negarsi ai nostri
arcieri:
lo dicevano gli occhi come lance.
3. Termopili,
480 a. C.
Guardia
del re, siamo gli immortali:
ma non è nostra la tenacia
di questi pochi, da un villaggio
oscuro
mandati a chiudere queste aspre
rocce:
vinti nel numero abbracciati
ai sassi
difendono per sempre il loro
posto
contro la sete regale d’acqua
e terra, che mai spegne confine.
4. Salamina,
480 a.C.
Beve
questo mare angusto, troppo
per navi immani d’altro Oceano
i sogni del re, assiso allo spettacolo
del suo tramonto; sparsi alla
deriva
galleggiano i relitti del suo
fasto,
specchio per noi della misura
che un demone assegnò
alle cose umane:
legni franti ricopre l’acqua
salsa
- necessità di ogni vana
gloria.
5. Isso,
333 a. C.
Sono
miriadi e balbettano confuso,
le lance hanno fatto una pianura:
sordo monta ronzio d’api senza
cosmo,
lo uniscono gli interpreti in
un grido:
gracchio di servi tiene quelle
genti.
Tra noi è una parola:
il barbaro
nel mezzo, la sorte ci ha mostrato
la salita: portar la nostra lingua.
6. Persefone
Poi
fu delirio d’asfodeli, nera
vertigine
vinse membra ghiacce
nella
catastrofe di cielo e spighe:
la bocca
della terra si scoperse,
calda e
golosa mano m’inghiottì
- di un dio.
Prato vizzo
di morti, è
la mia reggia:
orba di madre
luce, sposa
dannata delle
ombre vago
sterili passi
sopra il ventre
secco
che m’ha
rapita a sua eterna
consorte.