Crampi
dall'antico
Nuvole
e …
Ma
al di là,
oltre,
successivamente,
si
nasconde un segreto più grande del mistero –
simboli
ed archetipi si affollano in trama avulsa.
Le
stelle
si
organizzano ad inventare perimetri
dediti
alla menzogna,
qua sotto
noi
stiamo con il naso parallelo alla schiena
e
la bocca semiaperta (come di pesce defraudato)
a
chiederci un'altra volta cosa nascondano le nuvole
che
si abbracciano a dispetto guardandoci per ingelosirci,
a
chiederci quale segreto neghino alle nostre menti senza più nord,
a
chiederci se il segreto sia più sconvolgente del mistero.
In
memoriam
Ti
ho visto e non eri che un teschio
ricoperto
di pelle malata, sfinge carnosa
e
rugosa verso l'ultimo letargo,
in
docile attesa della tua personale
ultima
tempesta di sabbia.
Langue
mi
trovo dentro la lingua
mi
trovo nella lingua labirinto dai muri di cento dimensioni fisiche
ci
sono caduto dal muro che indulge al fumo
e
ai vasti orizzonti del possibile, del comune, del senso e nonsenso
mi
addentro fra flora e fauna di sintagmi-esoscheletro
mi
aggiro fra i significati mentre so che la lingua mi inganna mantenendo
intatte
le sue mille facce e sono io che non corro mai abbastanza,
non
sono mai abbastanza veloce da voltarmi in tempo per vederla
mentre
si scansa di un poco, nelle voragini del tempo
o
come delta che divora le ciglia e le labbra
le
sagome e i loro nomi in un sabba tentano di annullare
le
differenze, di farsi cosa sola mentre si dissolvono e diffondono
avanzo
ancora e mi arresto dove non c'è fine
e
vedo la fenice volare grigia, il basilisco che mi guarda cattivo
e
l'angelo della morte,
cosa voglio?
cerco
l'abbaglio, lo stupore, l'ineffabile,
il
nascosto, il riposto, il turpe,
voglio
parole che siano lapide ad un cercare incapace
di
piegare le parole a raccontare se stesse?
È
il motto o l'armonico insospettabile che cerco?
Chissà
se il tempo che oscilla è metronomo alla lingua che decade
mentre
si fa sempre più opulenta, come si cattura un mostro
che
acquista energie e significa(n)ti mentre dimagrisce e si fa vecchio?
L'ho
trovata questa lingua, si può dire nulla del nulla e fargli ombra
con
la parola ombra, scandire il tempo con lo sgocciolìo di una
penna?
In
un viaggio breve e assorbito da un verso all'altro
la
pagina non porta i segni del lavorìo, restaurato palinsesto,
ed
il bianco è tutti i colori, tutti li accoglie ma tutti li
soffoca.
Aprile
(con echi)
Aprile
resta un mese desolato, e con crudele occhio
lugubre
occhio già invernale mi poso sul pallido busto,
partito
dalle rive plutonie mi sporgo dal crinale fra sogno e realtà.
Sogno
o son sognato, fiori lillà e blu spuntano
dalle
terre ormai morte di desideri e parole
già
trovate che però ancora cerchiamo, come radici
fra
le rovine di pietra e dita residue che si aggrappano al nulla.
C'è
un disordine più probabile e un sintagmatico magma ribolle,
il
vento che urla rovescia i pozzi e i fossi, migra la nebulizzata pena.
Se
ne verrà mai fuori? Non si può rimediare al consumarsi
delle
rose,
in
petali svenevoli e spine notturne?
Ritornano uguali le cose,
ignoriamo
che (pare) il tempo non è che una proiezione
di
immagini mentali e non, copie esatte di eventi
che
casualmente stanno prima e dopo, che stanno sempre, ma infelici.
Ma
il tutto, l'eterno, perpetuamente con la metamorfosi si trastulla.
Trilogia
cosmica
(invocazione
alla musa?)
O Musa sacra, origine di carmi
eterni,
che la terra fai partorire di
frutti e al cielo
rendi un brillìo di stelle
innumerevoli,
tu che ti congedi sul volto del
defunto e gli doni
un vago rilassarsi, che fai sbocciare
un sorriso totale
sul volto fresco di un infante:
tu, Musa,
dove vai? Perché fuggi?
Perché volgi la
nuca
a questi versi dispersi nelle
griglie del calendario,
perché mi abbandoni dimostrando
la possibilità del moto?
Assisti al capezzale questo mio
indagare i mille sguardi
del tempo, il gelo mobilissimo
che da esso irrigidisce
ogni sconvolgente riproporsi
dell’identica novità.
(frammenti
autobiografici)
Tempo divoratore delle cose fuggito
alle metamorfosi:
mi hai
divorato, nulla di me
è immortale come il bronzo
e di me tutto
morirà senza
lasciare opera o traccia viva.
Eroso dalla madre della polvere
questa
è la fine dei tempi
/ è la fine del tempo
e mi
improvviso un necrologio
– sintonia
con nervosismo variabile
–
titillando
gracchianti manopole
di radio.
Io, testimonianza vivente
della mia
esistenza, saltimbanchesco
ma catafratto
improvviso
arbitraggi pre-mortem
e nemmeno gli
ultimi orologi
brachicardici
mi salvano
mentre incrocio le
parole
(incrociando
le braccia) e mi
getto
nelle fauci
della Sfinge.
La mia mente viva (intermittente)
e il mio
povero corpo aguzzo
attorcigliato
che mi vendo
(tutto intero) così
pallido e stordito
elidendomi
con un sorriso sfocato
psicopompo
per il mio io ...
– giacevano
con un ghigno quasi
antropologico
e mentre
pensate che io sia lì
a rompermi la zucca
il cuore mi
balza in gola (e
poi
mi piomba
sotto i piedi) ...
... con facce sclerotizzate mi
polimerizzo i concetti ...
(anse del
Lete)
Filtra le acque del Lete
questa
angoscia che preme sulla
nuca
ruba il sonno
al cronometro ipnotizzato
e suggerisce
istanti profilati
in cruda lama
non abbandono il morso dell’occhio
che indaga la
voragine che ha
fama
di forma vaga
e dispersione d’idee
che si
dilegua nella memoria
si aggrumano nell’oggi
il passato e
il futuro e i secoli
svelti
nei quali
scorre il vivere e
si incastrano
i giorni che
mi hanno costruito
e traviato
violentato e
salvato
perdersi nella nebbia è
una vocazione
palpare
ciò che non traspare
è
avvicinarsi all’idea
dell’assenza
che pervade
l’accavallarsi degli
astri
è
donare le viscere all’aquila
questo
spalancare le braccia
a lancetta
affaccendata nell’impaurirsi
la vita
rimane esterna all’inquietudine
del
bilanciere e il palpito necessario
non è
che un ritornare
in se stesso
l’esperienza insegna che non è
nello sperare
la speranza
che è
nel durare il segreto
del tornare indietro
che la morte
è uno iato
eccessivo
tra due
episodi di accadimento
per motivi
che è meglio
tacere.