Senecio
     SENECIO

Direttore
Emilio Piccolo


Non si tratta di conservare il passato, ma di realizzare le sue speranze
Horkheimer-Adorno, Dialettica dell'illuminismo

Rivisitazioni, traduzioni, manipolazioni



Redazione
Sergio Audano, Gianni Caccia, Maria Grazia Caenaro
Claudio Cazzola, Lorenzo Fort, Letizia Lanza


Sandro Montalto
Scheda biobibliografica


 

Crampi dall'antico
 

Nuvole e …

Ma al di là,

oltre, successivamente,
si nasconde un segreto più grande del mistero –
simboli ed archetipi si affollano in trama avulsa.
Le stelle
si organizzano ad inventare perimetri
dediti alla menzogna,
  qua sotto
noi stiamo con il naso parallelo alla schiena
e la bocca semiaperta (come di pesce defraudato)
a chiederci un'altra volta cosa nascondano le nuvole
che si abbracciano a dispetto guardandoci per ingelosirci,
a chiederci quale segreto neghino alle nostre menti senza più nord,
a chiederci se il segreto sia più sconvolgente del mistero.

In memoriam

Ti ho visto e non eri che un teschio

ricoperto di pelle malata, sfinge carnosa
e rugosa verso l'ultimo letargo,
in docile attesa della tua personale
ultima tempesta di sabbia.

Langue

mi trovo dentro la lingua

mi trovo nella lingua labirinto dai muri di cento dimensioni fisiche

ci sono caduto dal muro che indulge al fumo
e ai vasti orizzonti del possibile, del comune, del senso e nonsenso
mi addentro fra flora e fauna di sintagmi-esoscheletro
mi aggiro fra i significati mentre so che la lingua mi inganna mantenendo
intatte le sue mille facce e sono io che non corro mai abbastanza,
non sono mai abbastanza veloce da voltarmi in tempo per vederla
mentre si scansa di un poco, nelle voragini del tempo
o come delta che divora le ciglia e le labbra
le sagome e i loro nomi in un sabba tentano di annullare
le differenze, di farsi cosa sola mentre si dissolvono e diffondono
avanzo ancora e mi arresto dove non c'è fine
e vedo la fenice volare grigia, il basilisco che mi guarda cattivo
e l'angelo della morte,
  cosa voglio?
cerco l'abbaglio, lo stupore, l'ineffabile,
il nascosto, il riposto, il turpe,
voglio parole che siano lapide ad un cercare incapace
di piegare le parole a raccontare se stesse?
È il motto o l'armonico insospettabile che cerco?
Chissà se il tempo che oscilla è metronomo alla lingua che decade
mentre si fa sempre più opulenta, come si cattura un mostro
che acquista energie e significa(n)ti mentre dimagrisce e si fa vecchio?
L'ho trovata questa lingua, si può dire nulla del nulla e fargli ombra
con la parola ombra, scandire il tempo con lo sgocciolìo di una penna?
In un viaggio breve e assorbito da un verso all'altro
la pagina non porta i segni del lavorìo, restaurato palinsesto,
ed il bianco è tutti i colori, tutti li accoglie ma tutti li soffoca.

Aprile (con echi)

Aprile resta un mese desolato, e con crudele occhio

lugubre occhio già invernale mi poso sul pallido busto,
partito dalle rive plutonie mi sporgo dal crinale fra sogno e realtà.
Sogno o son sognato, fiori lillà e blu spuntano
dalle terre ormai morte di desideri e parole
già trovate che però ancora cerchiamo, come radici
fra le rovine di pietra e dita residue che si aggrappano al nulla.
C'è un disordine più probabile e un sintagmatico magma ribolle,
il vento che urla rovescia i pozzi e i fossi, migra la nebulizzata pena.
Se ne verrà mai fuori? Non si può rimediare al consumarsi delle rose,
in petali svenevoli e spine notturne?
     Ritornano uguali le cose,
ignoriamo che (pare) il tempo non è che una proiezione
di immagini mentali e non, copie esatte di eventi
che casualmente stanno prima e dopo, che stanno sempre, ma infelici.
Ma il tutto, l'eterno, perpetuamente con la metamorfosi si trastulla.
 
 

Trilogia cosmica
 

(invocazione alla musa?)

O Musa sacra, origine di carmi eterni,
che la terra fai partorire di frutti e al cielo
rendi un brillìo di stelle innumerevoli,
tu che ti congedi sul volto del defunto e gli doni
un vago rilassarsi, che fai sbocciare un sorriso totale
sul volto fresco di un infante: tu, Musa,
dove vai? Perché fuggi?
  Perché volgi la nuca
a questi versi dispersi nelle griglie del calendario,
perché mi abbandoni dimostrando la possibilità del moto?
Assisti al capezzale questo mio indagare i mille sguardi
del tempo, il gelo mobilissimo che da esso irrigidisce
ogni sconvolgente riproporsi dell’identica novità.
 

(frammenti autobiografici)

Tempo divoratore delle cose fuggito alle metamorfosi:
mi hai divorato, nulla di me è immortale come il bronzo
e di me tutto morirà senza lasciare opera o traccia viva.

Eroso dalla madre della polvere
questa è la fine dei tempi    /    è la fine del tempo
e mi improvviso un necrologio
– sintonia con nervosismo variabile –
titillando gracchianti manopole di radio.

Io, testimonianza vivente
della mia esistenza, saltimbanchesco ma catafratto
improvviso arbitraggi pre-mortem
e nemmeno gli ultimi orologi brachicardici
mi salvano mentre incrocio le parole
(incrociando le braccia) e mi getto
nelle fauci della Sfinge.

La mia mente viva (intermittente)
e il mio povero corpo aguzzo attorcigliato
che mi vendo (tutto intero) così pallido e stordito
elidendomi con un sorriso sfocato
psicopompo per il mio io ...
– giacevano con un ghigno quasi antropologico
e mentre pensate che io sia lì a rompermi la zucca
il cuore mi balza in gola (e poi
mi piomba sotto i piedi) ...

... con facce sclerotizzate mi polimerizzo i concetti ...
 

(anse del Lete)

Filtra le acque del Lete
questa angoscia che preme sulla nuca
ruba il sonno al cronometro ipnotizzato
e suggerisce istanti profilati in cruda lama

non abbandono il morso dell’occhio
che indaga la voragine che ha fama
di forma vaga e dispersione d’idee
che si dilegua nella memoria

si aggrumano nell’oggi
il passato e il futuro e i secoli svelti
nei quali scorre il vivere e si incastrano
i giorni che mi hanno costruito e traviato
violentato e salvato

perdersi nella nebbia è una vocazione
palpare ciò che non traspare
è avvicinarsi all’idea dell’assenza
che pervade l’accavallarsi degli astri
è donare le viscere all’aquila
questo spalancare le braccia a lancetta

affaccendata nell’impaurirsi
la vita rimane esterna all’inquietudine
del bilanciere e il palpito necessario
non è che un ritornare in se stesso

l’esperienza insegna che non è nello sperare
la speranza
che è nel durare il segreto del tornare indietro
che la morte è uno iato eccessivo
tra due episodi di accadimento
per motivi che è meglio tacere.


Per contattare la
DIREZIONE


Indice
Saggi, enigmi apophoreta
L'antico on line
Classici latini e greci

Rivisitazioni manipolazionii

La fonoteca di Senecio
Schede dei collaboratori
Recensioni, note extravaganze
La biblioteca di Senecio


In collaborazione con
VICO ACITILLO- POETRY WAVE