Cassandra andava coi teneri piedi
legati.
La parola le
usciva forzata da
interna distruzione.
Non poteva
non dire
e dire non
poteva
per chiara
percezione di sé.
Attorno, nessuno reggeva lo sforzo
di distrarsi
dalla sua distrazione.
La
distrazione dei più
era di Cassandra
il nemico
possente.
Nessuno a lei d'intorno
– né
prossimo né
lontano –
desiderava
ascoltarla
e il dire suo
inascoltato
era solo
fastidioso rimbombo:
tuono nel
vuoto!
Dunque che me ne faccio io
della mia voce
in questo
momento
che mi
è chiesto di scomparire?
A nulla io
sono stata?
Che me ne
faccio di me?
Oh! Tu che permetti
l'inascolto
di una lingua accaldata,
tu,
Mediazione,
che assapori
la mia sconfitta,
che appari e
scompari
ben sapendo
che la mia afasia
appaga la tua
vittoria;
tu, che mi
rendi muta
nel momento
stesso ch'io parlo,
hai per certo
schivato
come uno
straccio inerte
la mia
identità:
l'unica delle
cose in-mediabili.
Di questo ti
vanti?
Se ne va se ne va come rubata
l'irriducibile
augusta
fatta schiava
in terra materna
violata dai
vincitori
lontana dal
luogo
che
ascoltò la sua voce
senza
ascoltarla,
per
volontà di un dio
che non
perdonò l'evidenza
la più
semplice delle
intenzioni:
Essere vera
senza mediazioni.