1. Euridice
2. Acres
morsus
3. Non
possumus
4. Malmaritata
5. Zelotypia
6. Puella
Duemila
7. Hoia
8. Femina
9. In
riva di Scamandro
10. Frammento
11. Ulisse
12. Tarentilla
13. Fillide
14. Oraziana I
15. Oraziana II
16. Oraziana III
17. Phaselus
18. Traduzioni Catulliane - 1
19. Traduzioni Catulliane - 2
20. Traduzioni Catulliane - 3
21. In riva di Scamandro
Euridice
O lucem
candidiore nota
Catullo
La toletta sapiente, ricercata
E la tua voce bruna, di contralto.
Vagamente infelice,
guardavo dall'invetriata, scavato
il viso, sul colletto inamidato.
Soffrivo per la voglia di girarmi
Verso di te, guardarti:
poi udii i tuoi passi farsi
più vicini, aumentare
o giorno da segnare.
Acres
morsus
Catullo
Perciò ti vidi quel giorno
dei segni sul
volto, sul collo,
e non erano
fiori, sfoghi oscuri
del sangue a
primavera: erano
morsi
acri, e non
del marito, ora comprendo.
Perciò mi guardava ridendo
Il tuo corteo di amiche, ora
comprendo,
nella scena del gabbo; e Anna
Perenna:
Essetai emar, disse. Sì,
verrà,
le fece eco Marianna. Non dicevano
l'ora della mia morte; della
tua.
Non
possumus
Solo
guarire voglio
Catullo
Non ti affidò al braccio
mio tuo
padre all'altare,
non posso accampare pretesa
alcuna che tu sia pudica.
Ci pensi tuo marito a controllarti.
Io non posso neppure perdonarti.
Malmaritata
Quaenam t'ha partorito mai leaena
nella Sirti infuocata, o quale
cagna
che con tale violenza immeritata
colpevole mi assali
solo d'amarti – o you, malmaritata.
Zelotypia
Non andarci,
l'incontro è truccato
A chi volgi le spalle nel lettone
mentre sale la luna e confidente
parli prima del sonno? Innanzi
a lui
sfili lenta le calze; ode il
fruscio
lui beato e ti vede in uno specchio,
mille Celeste vede in mille specchi;
io devo accontentarmi del ricordo.
Quando piangi ti vede, quando
ridi,
se lavi i denti ogni mattina
prima
di andare a scuola come una bambina;
sa le ire tue improvvise, sa
le paci
più tenere di lacrime
e di baci;
sì, dei baci che dài,
con quel labbruzzo
dolcemente superbo e prominente:
beato lui, è simile agli
dei.
Io invece, se qualcuno mi domanda:
"Chi ti fa torto, Fabio, perché
soffri?"
per non tradirmi mentre al buio
piango,
come il protagonista di un romanzo
di Körmendi
devo parlare d'altro, raccontare
della mia giovinezza ormai sfiorita
delle illusioni cadute a una
a una
negli incontri truccati della
vita.
Puella
Duemila
Digito
male pertinaci
Orazio
Sei più colta di Lesbia,
(e più puttana):
ti alzano molte mani,
e male tu resisti,
la sottana.
Hoia
Hoia te
phylla
Mimnermo
E i concerti, le visite ai musei,
alle chiese di Roma, alle vetrine,
la tua carriera di donna in carriera
(che eri rampante, questo si
sapeva):
come le foglie, e vento di bufera.
Femina
Sei una donna bugiarda e dissoluta,
Mala ecfututa femina maliarda.
In
riva di Scamandro
Tebe dalle cento porte
automatiche
(entriamo
metrò,
banca)
escono cento
cavalieri armati.
Le donne dalle belle guance
arrossivano
in te se scioglievi
la cintura di
viole.
A sera don Lucio sonava
nella
chiesina azzurra di Van
Gogh.
“Sui cibi a loro davanti allungavan
le mani”
Figure nere terracotta rossa.
Frammento
Lei sdegna la mia chioma diradata
e verso un altro si gira incantata.
Ulisse
Mi sento sorpassato, triste, forse
mi è caduta la cera dagli
orecchi
sempre più irresistibile
difatti
è il canto delle sirene,
laggiù.
Tarentilla
Ille
mi par esse deo videtur
Catullo, carm. 51. 1
Dici di amarmi e guardi un altro
intanto;
mentre mi stringi la mano nascosta,
ridi senza ritegno, senza sosta
dei suoi scherzi e se a rompere
l’incanto
che nel silenzio mi isola mi
azzardo,
tu lontana rispondi, brevemente;
e ancora torni, irresistibilmente,
a lambirgli la faccia con lo
sguardo.
Fillide
Il parlare amebeo di noi pastori
non è creazione, è
lingua in situazione:
se io, tuo servo, teco verba
facio,
domina michi tu risponderai.
E d’altri linguaggi, di sguardi
non colgo l’alone, l’immagine.
Ti sono di peso, d’impaccio
e col mio dire forse ti dispiaccio.
Oraziana
I
Vedi come alto e candido di neve
si erge il
Soratte, né
sostengon più
le selve
affaticate il peso;
stan fermi i
fiumi nel gelo acuto.
Spazza via il freddo, giovane,
altra legna
metti nel
caminetto
e meno
avaramente versa il vino,
di quel
buono, invecchiato una
quattrina
d’anni, in
una tazza a due orecchie,
sabina.
E tutto il resto lascialo agli
dèi,
che i venti
già domarono
sul mare
ribollente guerreggianti,
i cipressi, i
vecchi ontani
non si
agitano più.
Che debba avvenire domani non
cercar di saperlo,
e i giorni
che il destino vuole
darti
ascrivili a
profitto, non a perdita
e gli amori
furtivi godi e i
balli
finché la vecchiaia ridicola
stia alla
larga da te che sei
nel pieno: ora i boschi
e i portici e
i lievi sussurri
notturni
si ripetano
all’ora fissata.
Ora la risatina dell’amica
nell’angolo nascosta la tradisce
e il pegno strappato alle braccia
o al dito che per vezzo ti resiste.
Oraziana
II
Si discioglie l’aspro inverno,
torna Zefiro e il sereno,
le carene
già in secco
traggon gli argini;
lascia il
pecude gli stazzi,
lascia il fuoco il contadino
e il prato
più non calcina
la brina.
Citerea guida le danze ora al
lume della luna,
le Grazie,
prese per mano le
ninfe,
il suol
battono con alterno piede,
Efesto rosso in faccia
brucia le
grevi officine ciclopiche.
Ora devi intrecciar mirti alla
testa impomatata
o altri fiori
dalla terra liberata;
immolare or
devi a Fauno in solinghi
boschi ombrosi
o che agna
chieda o che capretto
scelga.
Bussa pallida
la morte, bussa
con uguale pie=
de alla
povera stamberga, a torre
di re.
Breve la vita felice, Sestio,
più delle speranze;
ed è subito sera e dèi
di favola
e la casa stretta stretta di
Plutone e non appena ci entrerai
non più il vino coi dadi
giocherai,
non più Licida vedrai,
che ora infiamma tutti i giovani
e presto scalderà anche
le ragazze.
Oraziana
III
Lidia, di’, per tutti
gli
dèi t’imploro, Sibari
perché
ti affretti,
amando, a perdere
perché
l’arena ridente
odia lui che
solo ieri sopportava
sole e polvere?
E perché insieme con gli
altri militari non cavalca
e non doma
gli alipedi gallici
col morso e
col freno?
Perché
fa l’obiettore
di coscienza?
E perché non vuol toccare
la dorata acqua del Tevere
e i massaggi
più cautamente
evita
del sangue
delle vipere
e non mostra
sulle braccia delle
armi il lividore
lui nel
lancio del giavellotto
celebre
per valicare
i limiti?
Perché si nasconde come,
dicono,
il figlio della dea marina Tetide
appressandosi i lutti lacrimevoli
di Troia?
Forse per non incorrere, come
ai maschi è solito,
nelle caterve licie, nella strage?
Phaselus
Il cabinato che vedete ospiti
cullarsi pigro sulle onde lidie
porta in Svizzera i soldi e al
mio ritorno
merce di contrabbando.
Un’ora, vado e torno, giusto
in tempo
per non perdermi l’ultimo togato
massacrato in diretta alla tivi
di stato.
18. Traduzioni Catulliane - 1
Carmina 2 Passero, gioia della donna mia
Passero, gioia della donna mia,
con cui scherzare è solita, tenerlo
in seno, dargli la punta del dito
al suo avventarsi e provocare morsi
acuti, quando al mio sospiro splendido
piace fare non so che lieve gioco
e piccolo sollievo alla sua pena,
perché si plachi allora la molesta
fiamma, io credo; come la padrona,
con te potessi io giocare, alleviare
le dolorose mie pene d’amore.
Carmina 3 Epicedio
Piangete, veneri, piangete, amori,
e uomini che siete un po’ sensibili,
morto è il passero della mia fanciulla,
passero gioia della mia ragazza,
che quello amava più degli occhi suoi,
perché era tutto miele e conosceva
la padroncina sua come una madre,
né si muoveva dal suo grembo, invece
saltando intorno or qua or là, alla sola
padrona pigolava assiduamente.
E ora egli va per un cammino oscuro
là donde dicono nessuno torni.
Male v’incolga, tenebre maligne,
che divorate tutto quel che è amabile.
Un passero mi avete strappato così bello.
O poveretto passero, sventura.
Or per opera tua della mia donna
rossi son gli occhi e gonfi un po’ dal pianto.
19. Traduzioni Catulliane - 2
Carmina 8 Addio, amore
Infelice Catullo, smetti di far pazzie,
la storia che è finita, e tu lo vedi,
considera finita.
Rifulsero per te candidi soli un tempo
quando andare solevi dove ti conduceva la tua donna,
da noi amata quanto non sarà mai amata nessun’altra.
Allora sì, molti amorosi giochi si facevano
lì, che volevi tu, e lei non si schermiva.
Brillarono davvero per te candidi giorni.
Ma oramai lei non vuole: tu pure non volere.
Seppure non padrone dei tuoi atti,
non seguire chi fugge, non vivere infelice,
ma sopporta con animo ostinato, resisti.
Addio, amore, Catullo ormai resiste.
E non riprenderà a cercarti e non ti pregherà se non vorrai.
Guai a te, sciagurata, che vita ti aspetta?
Chi ora verrà da te? A chi sembrerai bella?
Chi amerai adesso? Di chi sarai detta l’amante?
Chi bacerai? A chi morderai le labbra?
Ma tu, Catullo, resisti ostinato.
20. Traduzioni Catulliane - 3
Carmina 1 Un dono
Questo libretto nuovo a chi lo dò e leggiadro
lisciato or ora con pomice arida?
Cornelio, a te: e infatti tu solevi
pensare che le mie inezie fossero qualche cosa
fino da quando osasti unico fra gli Itali
la storia tutta esporre in tre libri
pieni di dottrina, caspita, e sudati.
Perciò tieni per te questo libretto,
quale che sia, ma esso, giovane patrona,
rimanga duraturo più di una
sola generazione.
In riva di Scamandro*
Per Rosetta
Tebe dalle cento porte
automatiche, (entriamo metrò, banca)
escono cento cavalieri armati.
Le donne dalle belle guance
arrossivano in te se scioglievi
la cintura di viole.
A sera don Lucio suonava
nell’azzurra chiesina di Van Gogh.
“Sui cibi a loro davanti allungavan le mani”.
Figure nere terracotta rossa.
*Cfr. F. Dainotti,
L’albergo dei morti. Postfazione di N. Miglino, Manni, San Cesario di Lecce (LE), p. 56. (
ndr)