Senecio
     SENECIO

Direttore
Emilio Piccolo


Non si tratta di conservare il passato, ma di realizzare le sue speranze
Horkheimer-Adorno, Dialettica dell'illuminismo

Rivisitazioni, traduzioni, manipolazioni



Redazione
Sergio Audano, Gianni Caccia, Maria Grazia Caenaro
Claudio Cazzola, Lorenzo Fort, Letizia Lanza


Fabio Dainotti
Scheda biobibliografica

1. Euridice
2. Acres morsus
3. Non possumus
4. Malmaritata
5. Zelotypia
6. Puella Duemila
7. Hoia
8. Femina
9. In riva di Scamandro
10. Frammento
11. Ulisse
12. Tarentilla
13. Fillide
14. Oraziana I
15. Oraziana II
16. Oraziana III
17. Phaselus
18. Traduzioni Catulliane - 1
19. Traduzioni Catulliane - 2

20. Traduzioni Catulliane - 3
21. In riva di Scamandro

Euridice

O lucem candidiore nota
   Catullo

La toletta sapiente, ricercata
E la tua voce bruna, di contralto.
Vagamente infelice,
guardavo dall'invetriata, scavato
il viso, sul colletto inamidato.
Soffrivo per la voglia di girarmi
Verso di te, guardarti:
poi udii i tuoi passi farsi
più vicini, aumentare
o giorno da segnare.
 

Acres morsus

Catullo

Perciò ti vidi quel giorno
dei segni sul volto, sul collo,
e non erano fiori, sfoghi oscuri
del sangue a primavera: erano morsi
acri, e non del marito, ora comprendo.

Perciò mi guardava ridendo
Il tuo corteo di amiche, ora comprendo,
nella scena del gabbo; e Anna Perenna:
Essetai emar, disse. Sì, verrà,
le fece eco Marianna. Non dicevano
l'ora della mia morte; della tua.
 

Non possumus

Solo guarire voglio
  Catullo

Non ti affidò al braccio mio tuo
padre all'altare,
non posso accampare pretesa
alcuna che tu sia pudica.
Ci pensi tuo marito a controllarti.
Io non posso neppure perdonarti.
 

Malmaritata

Quaenam t'ha partorito mai leaena
nella Sirti infuocata, o quale cagna
che con tale violenza immeritata
colpevole mi assali
solo d'amarti – o you, malmaritata.
 

Zelotypia

Non andarci, l'incontro è truccato

A chi volgi le spalle nel lettone
mentre sale la luna e confidente
parli prima del sonno? Innanzi a lui
sfili lenta le calze; ode il fruscio
lui beato e ti vede in uno specchio,
mille Celeste vede in mille specchi;
io devo accontentarmi del ricordo.
Quando piangi ti vede, quando ridi,
se lavi i denti ogni mattina prima
di andare a scuola come una bambina;
sa le ire tue improvvise, sa le paci
più tenere di lacrime e di baci;
sì, dei baci che dài, con quel labbruzzo
dolcemente superbo e prominente:
beato lui, è simile agli dei.
Io invece, se qualcuno mi domanda:
"Chi ti fa torto, Fabio, perché soffri?"
per non tradirmi mentre al buio piango,
come il protagonista di un romanzo di Körmendi
devo parlare d'altro, raccontare
della mia giovinezza ormai sfiorita
delle illusioni cadute a una a una
negli incontri truccati della vita.
 

Puella Duemila

Digito male pertinaci
  Orazio

Sei più colta di Lesbia, (e più puttana):
ti alzano molte mani,
e male tu resisti,
la sottana.
 

Hoia

Hoia te phylla
  Mimnermo

E i concerti, le visite ai musei,
alle chiese di Roma, alle vetrine,
la tua carriera di donna in carriera
(che eri rampante, questo si sapeva):
come le foglie, e vento di bufera.
 

Femina

Sei una donna bugiarda e dissoluta,
Mala ecfututa femina maliarda. 
 

In riva di Scamandro

Tebe dalle cento porte
automatiche (entriamo
metrò, banca)
escono cento cavalieri armati.

Le donne dalle belle guance
arrossivano in te se scioglievi
la cintura di viole.

A sera don Lucio sonava
nella chiesina azzurra di Van Gogh.

“Sui cibi a loro davanti allungavan le mani”

Figure nere terracotta rossa.
 

Frammento

Lei sdegna la mia chioma diradata
e verso un altro si gira incantata.
 

Ulisse

Mi sento sorpassato, triste, forse
mi è caduta la cera dagli orecchi
sempre più irresistibile difatti
è il canto delle sirene, laggiù.
 

Tarentilla

  Ille mi par esse deo videtur
    Catullo, carm. 51. 1

Dici di amarmi e guardi un altro intanto;
mentre mi stringi la mano nascosta,
ridi senza ritegno, senza sosta
dei suoi scherzi e se a rompere l’incanto
che nel silenzio mi isola mi azzardo,
tu lontana rispondi, brevemente;
e ancora torni, irresistibilmente,
a lambirgli la faccia con lo sguardo.
 

Fillide

Il parlare amebeo di noi pastori
non è creazione, è lingua in situazione:
se io, tuo servo, teco verba facio,
domina michi tu risponderai.
E d’altri linguaggi, di sguardi
non colgo l’alone, l’immagine.
Ti sono di peso, d’impaccio
e col mio dire forse ti dispiaccio.
 

Oraziana I

Vedi come alto e candido di neve
si erge il Soratte, né sostengon più
le selve affaticate il peso;
stan fermi i fiumi nel gelo acuto.

Spazza via il freddo, giovane, altra legna
metti nel caminetto
e meno avaramente versa il vino,
di quel buono, invecchiato una quattrina
d’anni, in una tazza a due orecchie, sabina.

E tutto il resto lascialo agli dèi, 
che i venti già domarono
sul mare ribollente guerreggianti,
i cipressi, i vecchi ontani
non si agitano più.

Che debba avvenire domani non cercar di saperlo,
e i giorni che il destino vuole darti
ascrivili a profitto, non a perdita
e gli amori furtivi godi e i balli

finché la vecchiaia ridicola
stia alla larga da te che sei nel pieno: ora i boschi
e i portici e i lievi sussurri notturni
si ripetano all’ora fissata.

Ora la risatina dell’amica
nell’angolo nascosta la tradisce
e il pegno strappato alle braccia
o al dito che per vezzo ti resiste.
 

Oraziana II

Si discioglie l’aspro inverno, torna Zefiro e il sereno,
le carene già in secco traggon gli argini;
lascia il pecude gli stazzi, lascia il fuoco il contadino
e il prato più non calcina la brina.

Citerea guida le danze ora al lume della luna,
le Grazie, prese per mano le ninfe,
il suol battono con alterno piede, Efesto rosso in faccia
brucia le grevi officine ciclopiche.

Ora devi intrecciar mirti alla testa impomatata
o altri fiori dalla terra liberata;
immolare or devi a Fauno in solinghi boschi ombrosi
o che agna chieda o che capretto scelga.
Bussa pallida la morte, bussa con uguale pie=
de alla povera stamberga, a torre di re.

Breve la vita felice, Sestio, più delle speranze;
ed è subito sera e dèi di favola
e la casa stretta stretta di Plutone e non appena ci entrerai
non più il vino coi dadi giocherai,
non più Licida vedrai, che ora infiamma tutti i giovani
e presto scalderà anche le ragazze.
 

Oraziana III

Lidia, di’, per tutti
gli dèi t’imploro, Sibari perché
ti affretti, amando, a perdere
perché l’arena ridente
odia lui che solo ieri sopportava sole e polvere?

E perché insieme con gli altri militari non cavalca
e non doma gli alipedi gallici
col morso e col freno?
Perché fa l’obiettore di coscienza?

E perché non vuol toccare la dorata acqua del Tevere
e i massaggi più cautamente evita
del sangue delle vipere
e non mostra sulle braccia delle armi il lividore
lui nel lancio del giavellotto celebre
per valicare i limiti?

Perché si nasconde come, dicono,
il figlio della dea marina Tetide
appressandosi i lutti lacrimevoli di Troia?
Forse per non incorrere, come ai maschi è solito,
nelle caterve licie, nella strage?
 

Phaselus

Il cabinato che vedete ospiti
cullarsi pigro sulle onde lidie
porta in Svizzera i soldi e al mio ritorno
merce di contrabbando.
Un’ora, vado e torno, giusto in tempo
per non perdermi l’ultimo togato
massacrato in diretta alla tivi
di stato.   

18. Traduzioni Catulliane - 1

Carmina 2 Passero, gioia della donna mia

Passero, gioia della donna mia,
con cui scherzare è solita, tenerlo
in seno, dargli la punta del dito
al suo avventarsi e provocare morsi
acuti, quando al mio sospiro splendido
piace fare non so che lieve gioco
e piccolo sollievo alla sua pena,
perché si plachi allora la molesta
fiamma, io credo; come la padrona,
con te potessi io giocare, alleviare

le dolorose mie pene d’amore.

Carmina 3 Epicedio

Piangete, veneri, piangete, amori,
e uomini che siete un po’ sensibili,
morto è il passero della mia fanciulla,
passero gioia della mia ragazza,
che quello amava più degli occhi suoi,
perché era tutto miele e conosceva
la padroncina sua come una madre,
né si muoveva dal suo grembo, invece
saltando intorno or qua or là, alla sola
padrona pigolava assiduamente.
E ora egli va per un cammino oscuro
là donde dicono nessuno torni.
Male v’incolga, tenebre maligne,
che divorate tutto quel che è amabile.
Un passero mi avete strappato così bello.
O poveretto passero, sventura.
Or per opera tua della mia donna
rossi son gli occhi e gonfi un po’ dal pianto.

 

 

19. Traduzioni Catulliane - 2

Carmina 8 Addio, amore

Infelice Catullo, smetti di far pazzie,
la storia che è finita, e tu lo vedi,
considera finita.
Rifulsero per te candidi soli un tempo
quando andare solevi dove ti conduceva la tua donna,
da noi amata quanto non sarà mai amata nessun’altra.
Allora sì, molti amorosi giochi si facevano
lì, che volevi tu, e lei non si schermiva.
Brillarono davvero per te candidi giorni.
Ma oramai lei non vuole: tu pure non volere.
Seppure non padrone dei tuoi atti,
non seguire chi fugge, non vivere infelice,
ma sopporta con animo ostinato, resisti.
Addio, amore, Catullo ormai resiste.
E non riprenderà a cercarti e non ti pregherà se non vorrai.
Guai a te, sciagurata, che vita ti aspetta?
Chi ora verrà da te? A chi sembrerai bella?
Chi amerai adesso? Di chi sarai detta l’amante?
Chi bacerai? A chi morderai le labbra?

Ma tu, Catullo, resisti ostinato.

 

 

 

20. Traduzioni Catulliane - 3

Carmina 1 Un dono

Questo libretto nuovo a chi lo dò e leggiadro
lisciato or ora con pomice arida?
Cornelio, a te: e infatti tu solevi
pensare che le mie inezie fossero qualche cosa
fino da quando osasti unico fra gli Itali
la storia tutta esporre in tre libri
pieni di dottrina, caspita, e sudati.
Perciò tieni per te questo libretto,
quale che sia, ma esso, giovane patrona,
rimanga duraturo più di una
sola generazione.

 

In riva di Scamandro*

Per Rosetta

Tebe dalle cento porte
automatiche, (entriamo metrò, banca)
escono cento cavalieri armati.

Le donne dalle belle guance
arrossivano in te se scioglievi
la cintura di viole.

A sera don Lucio suonava
nell’azzurra chiesina di Van Gogh.

“Sui cibi a loro davanti allungavan le mani”.

Figure nere terracotta rossa.


 

*Cfr. F. Dainotti, L’albergo dei morti. Postfazione di N. Miglino, Manni, San Cesario di Lecce (LE), p. 56. (ndr)

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