Poche cose mi accompagnino Andromaca
la tua benedizione, il riso di
Scamandrio
una parola dolce che
vinca ogni clangore di battaglia
e intriso dei tuoi umori
magari un lembo della veste
che allieti le mie pause
la guerra sarà lunga,
moriremo in tanti
molti li tradirà l’audacia
chi la cattiva
sorte, chi
l’infamia
altri li
ucciderà la nostalgia
dei luoghi
uomini siamo
dentro le corazze
Andromaca
ci guida
desiderio del ritorno
a piangere su
grembi morbidi
di donna
Il
mito di Siproite
ritorno spesso a mèlete
di smirne
dove sorpresi
un giorno tra i
canneti
Artemide
bagnante.
da allora non mi lascia la visione
di Lei che
l’arco tende alle
sue fiere
violento lampo d’occhi e il taglio
Bello
che fortunata
ancora mi castiga
Preghiera
di Faust
soltanto una goccia di
sangue
mio
Cristo
sboccerei
rosa rossa a spaccarti
il
giardino
Lettera
di Rubin Stacy
sparato ed
impiccato ad un albero
di proprietà della Spett.le Sig.ra Marion Jones
Fort Lauderdale,
Florìda,
Stati Uniti, lì 19 luglio del millenovecentotrentacinque
Spett.le Sig.ra Marion Jones,
dall’aldiquà
non manco
di porgerLe le scuse che Le devo. mai mi sarei permesso
-Glielo
giuro- ooovenirLa
a importunare. mi perdoni. riceva le mie scuse
doverose:
la prima a nome del mio nero viso che l’ha sconvolta; la
seconda
per il mio sciagurato mendicare Sig.ra non volevo. mi
perdoni. ancora non so cosa mi abbia preso. e
poi
se solo penso mi commuovo a quanto Lei è
gentile
ad evitarmi davanti a questa bimba divertita e a
queste
giacche Bianche di signori oool’umiliazione di baciarLe i
piedi
(che per noi negri è il minimo accordato). mai mi
sarei
permesso -Glielo giuro- venirLa a importunare. mi
perdoni.
Spett.le
Sig.ra Marion Jones
rinnovo le mie scuse. La saluto.
con
umiltà
firmato Rubin Stacy
mezzadro
negro senza casa e cibo
Poesie
per Hiroshima (I-VII)
Premessa
(adattamento
da Empedocle di
Agrigento
Sulla natura,
fr. 57 - Diels-Kranz)
giacché molte teste a nascere
prive di collo
e disossate
di spalle andavano
braccia
ed occhi ad
errare solinghi
slacciati da
fronte
I
non sapere se
ancora domani
non sapere se ancora domani
l’alba
chiudere palpebre agli
astri
o frangersi a
sera nel mare la
luna
e calmo il
fiore che spacca la
terra
alto sulla
scogliera un gabbiano
II
Anniversario
Anno I°
Sacre sponde dell’Otha
nessuno manca
con la sua corona
di
lacrime
intrecciate al cuore
e
la lanterna a
cui è legato
il nome di un defunto.
ad uno ad uno
li depositiamo
sul palmo
delle acque i nostri
cari
il rito
più straziante
attendere
alti sui loro
steli
vadano
eserciti di Luce.
Autunno del
405 a.C.
La sacra
Pàralo annuncia
agli Ateniesi la sconfitta navale di Egospotami?
Ateniesi la guerra è finita
Muove al
Pireo Lisandro le sue
navi
Affondano le
nostre ai fiumi
della capra
Dove le
abbandonarono gli ingrati
In cerca
delle belle e vino e
cibo.
Poche le mette in salvo
Cònone
A mendicare a
Cipro (manda a
dire). Intanto
Lesbo
soccombe, Egina in schiavitù
Resta fedele
Samo (sciagurata!
ancora) e
Fino a
quando? se già
da Decelea
Pausània
e Agide piombano
sull’Attica
Noi siamo qui ad attenderli i
nemici
Ché il
mare ci sigilla
e lunghi feretri
Di mura
(erette con il sangue
della gloria)
Vengano pure
finalmente e ponga-
No a questa
maledetta guerra
fine
la ghigliottina
ghigliottina è allestita
da sempre
-
scorsoia lastra di stelle
pronta a
decapitarmi affilata
se non fosse a graziarmi il mattino
a
disincagliarmi dalla lunetta
del
dubbio i
pensieri
venditore da dachau
oggettistica in Pelle, signori
vendo a
prezzo stracciato
“saldi fine
conflitto” toccate
signori
toccate con mano
Pelle
autentica umana
garantita da
marchio di
fabbricazione
dachau
vendo a prezzo stracciato
signori date
pure un’occhiata,
oggettistica
in Pelle
souvenir da
dachau
Diario
del disertore alla battaglia delle Termopili
[…] Leonida,
re di Sparta che ha lasciato
di virtù
grande ornamento e gloria!
(Simonide
di Ceo)
I
eccoli i
popoli del terzo mondo,
i barbari,
quelli che
ignorano le nostre
leggi,
accampano di
là del valico
che siamo qui
venuti (anzi
ci hanno mandati)
a presidiare.
sono a
migliaia quelli del re
serse
noi appena
quattro gatti che
aspettiamo
in massa
rinforzi di alleati.
II
con oggi sono
già però
tre giorni
e non un
segno dalle retrovie:
qualcosa che
si muova, una vedetta
che a
squarciagola annunci il
loro arrivo.
qui al fronte
tutto è
immobile. nessuno
osa lasciare
le sue postazioni:
non attacca
il nemico (per fortuna)
noi non
suoniamo (che sarebbe
meglio)
la ritirata.
ci si sta in cagnesco,
ci si fa
la guardia,
ci si studia: non
sono poi
così
da noi diversi questi
barbari,
come in
città filosofi
del cazzo
hanno voluto
farci credere,
ma li
sentiamo spesso nella notte
mormorare un
canto, anche la
loro
preghiera
è simile alla
nostra
“proteggi,
dio, i tuoi figli
che i Padroni
mandano a
morte dacché
il mondo è mondo”
III
è da
poco spuntato il
quarto giorno.
nessuna
novità, ci fronteggiamo,
quelli
dall’altra
parte credono che
l’intenzione
nostra
è di sfidarli o
che stiamo tramando
qualcosa che
gli sfugge. mandano
spie,
sono
circospetti, è reticente
serse:
onde evitare
unitile ecatombe,
spera,
che prima o
poi dalla paura lasceremo
il muro
romperemo in
disordine le linee
IV
improvviso un
clangore ci sveglia,
rompe ogni
remora il persiano
intenzionato
a chiudere
nel sangue la faccenda:
lancia
all’assalto un primo contingente
con l’ordine
di catturarci vivi
(ma
niente da
fare, li bastoniamo
come cani),
e dunque
tocca a idarne e ai
suoi immortali
(peggio di
andar di notte - non
c’è storia),
manteniamo
serrate le file dello
schieramento
fingendo di
arretrare diamo loro
il culo:
insomma li
invitiamo addentro
il valico
dove le
nostre lance hanno la
meglio,
arretrano gli
invasori, non guadagnano
di un solo
metro il passo che
ci onora,
che
difendiamo a denti stretti
- e vorrei
tanto dirlo a quel
magnaccia
che si fa
bello del nostro sacrificio:
qui
caro mio non
c’entra l’eroismo
che non sia
solo un Disperato
istinto a
vivere
V
benché
equivalga ad una
strepitosa vittoria
questo averli
respinti per due
giorni,
c’è
poco da far festa
al campo:
ci si sta in
silenzio ed il morale
è a pezzi
piangiamo
pure noi qualche compagno.
qualcuno
sottovoce impreca, altri
contempla
l’Olimpo che
ci sta di fronte
ove banchetta il dio,
altri non fa
mistero della sua
baldanza
sguaina la
spada, è in
preda alla follia, parla da solo e
ride
VI
leonida
è pensieroso,
si consulta
con gli altri
duci sul da farsi.
attende
lui pure che
improvviso sbuchi
dal sentiero
un nunzio che
preceda nuove truppe
con loro
sì potremo dare
filo
da torcere al
persiano
cacciarlo al
mare ove la flotta,
stanziata
all’artemisio, farà
il resto.
VII
sono mille
gli opliti messi a
guardia
della
montagna, controllano la
scesa
il vico
stretto di anopàia
il cui segreto
un tale della
zona - dicono -
la notte scorsa
abbia venduto
a serse
(che
l’abbiano inventato apposta
un traditore
per riparare
all’onta dell’aggiramento?)
Intanto vero
o falso poco importa:
passa il
nemico e chi è
di vigilanza dorme o
non s’accorge
che qualche foglia
scricchiola
sotto il felpato
passo, che frana
qualche
ciottolo per la scarpata.
spunta
l’aurora, sono quasi in
cima
ma quando se
ne accorgono i focesi,
di stanza sul
pendio, è
già ormai tardi:
sono in balia
del panico, disorientati
confusamente
imbracciano le lance
- fortuna che
i persiani non
si curano
di quelli che
già tengono
nel pugno -
e quindi
ridiscendono la valle,
marciano
avverso noi lungo la
costa
… che siamo i
più temuti.
VIII
leonida ha
sessant’anni. se ne
fotte
di quanti
manda a morte, vuole
farsi onore.
ligio
più alla sua gloria
che alla polis,
pur compierla
dovrà un’impresa
degna
di Eracle da
cui discende che
resti negli annali:
d’altronde,
lo sa bene che rammenteranno
i posteri
il suo nome e
ad uno ad uno quello
dei Vigliacchi
non certo il
nostro (i poveracci)
IX
ma leonida
è buono, è
generoso
e nel
precipitare degli eventi
manderà
a casa quelli
che non vogliono
(pur se da
usarli in prima fila
tratterrà i tebani
- che non si
fida affatto) e
poi
la gloria va
spartita in pochi
d’altronde
chi ritorna morirà
lo stesso
perché
dei traditori il
popolo non ha pietà
X
oggi
avverrà lo scontro
leonida con
altri appronta l’armi,
la spada
sguaina ripetutamente,
la lancia
lucida che abbaglia
il sole
dà le
sue indicazioni
ultime:
ad un suo
rispettabile comando
usciranno di
corsa dal valico
e
attenderanno
il nemico al centro
della
piana - poi sarà
la fine
XI
è una
follia, combatterli,
è una follia vi
dico, amici,
ritornate ma loro
non
si importano
imbevuti che sono
già
di gloria
forsennati esultano
viva la
libertà viva la
grecia
XII
chiamatemi
codardo vile e vigliacco
premieranno i
posteri la mia
viltà
d’amare
più la Vita che
l’onore e guerra
XIII
difendono
accaniti il corpo di
leonida,
conteso
quattro volte all’ira
del persiano,
lo
abbracciano, ne fanno scudo
(la reliquia)
ma in guerra
la pietà
non si conosce
con gli archi
li finiscono i
nemici
e li sotterra
lento un piovere
di frecce
XIV
giunge voce che serse ha perso
due fratelli e
circa ventimila dei suoi uomini
(trovo che il numero sia esagerato
- ciò non toglie che Duro
è stato il colpo
infertogli dalla battaglia).
sta il fatto invece
che precipita verso la grecia
interna
(la minaccia) e reca come un
vessillo
affisso a un palo la glorïosa
testa del Re straziata ché
tutti la vedano e
sciolgano con noi alleanze per
timore