Senecio
     SENECIO

Direttore
Emilio Piccolo


Non si tratta di conservare il passato, ma di realizzare le sue speranze
Horkheimer-Adorno, Dialettica dell'illuminismo

Rivisitazioni, traduzioni, manipolazioni



Redazione
Sergio Audano, Gianni Caccia, Maria Grazia Caenaro
Claudio Cazzola, Lorenzo Fort, Letizia Lanza


Daniele Santoro
Scheda biobibliografica

 
Poche cose mi accompagnino Andromaca
la tua benedizione, il riso di Scamandrio
una parola dolce che 
vinca ogni clangore di battaglia
e intriso dei tuoi umori 
magari un lembo della veste
che allieti le mie pause
la guerra sarà lunga, moriremo in tanti 

molti li tradirà l’audacia 
chi la cattiva
sorte, chi l’infamia 
altri li ucciderà la nostalgia dei luoghi
uomini siamo dentro le corazze Andromaca
ci guida desiderio del ritorno
a piangere su grembi morbidi 
di donna
 

Il mito di Siproite

ritorno spesso a mèlete di smirne 
dove sorpresi un giorno tra i canneti
Artemide bagnante. 

da allora non mi lascia la visione 
di Lei che l’arco tende alle sue fiere

violento lampo d’occhi e il taglio 
Bello
che fortunata ancora mi castiga
 

Preghiera di Faust

soltanto una goccia di sangue    mio 
           Cristo 
sboccerei rosa rossa a spaccarti il
                                                       giardino 

Lettera di Rubin Stacy
sparato ed impiccato ad un albero di proprietà della Spett.le Sig.ra Marion Jones
Fort Lauderdale, Florìda, Stati Uniti, lì 19 luglio del millenovecentotrentacinque
 

Spett.le Sig.ra Marion Jones, 
dall’aldiquà non manco   di porgerLe le scuse che Le devo.   mai mi sarei permesso -Glielo giuro-          ooovenirLa a importunare. mi perdoni.   riceva le mie scuse doverose:   la prima a nome del mio nero   viso che l’ha sconvolta; la seconda    per il mio sciagurato mendicare    Sig.ra non volevo. mi perdoni.   ancora non so cosa mi abbia preso.   e poi se solo penso mi commuovo    a quanto Lei è gentile ad evitarmi  davanti a questa bimba divertita e   a queste giacche Bianche di signori   oool’umiliazione di baciarLe i piedi   (che per noi negri è il minimo accordato).   mai mi sarei permesso -Glielo giuro-    venirLa a importunare. mi perdoni. 
Spett.le Sig.ra Marion Jones    rinnovo le mie scuse. La saluto.

con umiltà
                     firmato Rubin Stacy
mezzadro negro senza casa e cibo
 

Poesie per Hiroshima (I-VII)

Premessa
(adattamento da Empedocle di Agrigento
Sulla natura, fr. 57 - Diels-Kranz)

giacché molte teste a nascere prive di collo
e disossate di spalle andavano braccia
ed occhi ad errare solinghi
slacciati da fronte

I
non sapere se ancora domani

non sapere se ancora domani
l’alba chiudere palpebre agli astri
o frangersi a sera nel mare la luna
e calmo il fiore che spacca la terra
alto sulla scogliera un gabbiano

II
Anniversario Anno I°

Sacre sponde dell’Otha
nessuno manca con la sua corona di
lacrime intrecciate al cuore e 
la lanterna a cui è legato il nome di un defunto.
ad uno ad uno li depositiamo
sul palmo delle acque i nostri cari
il rito più straziante   attendere 
alti sui loro steli
vadano eserciti di Luce.
Autunno del 405 a.C. 
La sacra Pàralo annuncia agli Ateniesi la sconfitta navale di Egospotami?

Ateniesi la guerra è finita
Muove al Pireo Lisandro le sue navi
Affondano le nostre ai fiumi della capra
Dove le abbandonarono gli ingrati 
In cerca delle belle e vino e cibo.

Poche le mette in salvo Cònone 
A mendicare a Cipro (manda a dire). Intanto 
Lesbo soccombe, Egina in schiavitù 
Resta fedele Samo (sciagurata! ancora) e 
Fino a quando? se già da Decelea
Pausània e Agide piombano sull’Attica 

Noi siamo qui ad attenderli i nemici
Ché il mare ci sigilla e lunghi feretri 
Di mura (erette con il sangue della gloria) 
Vengano pure finalmente e ponga-
No a questa maledetta guerra

                                                 fine

la ghigliottina

ghigliottina è allestita da sempre
 - scorsoia lastra di stelle
pronta a decapitarmi affilata

se non fosse a graziarmi il mattino
a disincagliarmi dalla lunetta del 
dubbio i
              pensieri

venditore da dachau

oggettistica in Pelle, signori
vendo a prezzo stracciato
“saldi fine conflitto” toccate 
signori toccate con mano
Pelle autentica umana
garantita da marchio di 
fabbricazione dachau 

vendo a prezzo stracciato
signori date pure un’occhiata, 
oggettistica in Pelle
souvenir da dachau
 

Diario del disertore alla battaglia delle Termopili

[…] Leonida, re di Sparta che ha lasciato
di virtù grande ornamento e gloria! 
(Simonide di Ceo)
 
 

I  
eccoli i popoli del terzo mondo, i barbari, 
quelli che ignorano le nostre leggi, 
accampano di là del valico che siamo qui 
venuti (anzi ci hanno mandati) a presidiare.
sono a migliaia quelli del re serse 
noi appena quattro gatti che aspettiamo
in massa rinforzi di alleati.
 
 

II  
con oggi sono già però tre giorni 
e non un segno dalle retrovie: 
qualcosa che si muova, una vedetta 
che a squarciagola annunci il loro arrivo.
qui al fronte tutto è immobile. nessuno 
osa lasciare le sue postazioni:
non attacca il nemico (per fortuna)
noi non suoniamo (che sarebbe meglio)
la ritirata. ci si sta in cagnesco, ci si fa 
la guardia, ci si studia: non sono poi 
così da noi diversi questi barbari,
come in città filosofi del cazzo
hanno voluto farci credere,
ma li sentiamo spesso nella notte 
mormorare un canto, anche la loro 
preghiera è simile alla nostra 
“proteggi, dio, i tuoi figli che i Padroni
mandano a morte dacché il mondo è mondo”
 
 

III 
è da poco spuntato il quarto giorno.
nessuna novità, ci fronteggiamo, quelli
dall’altra parte credono che l’intenzione 
nostra è di sfidarli o che stiamo tramando 
qualcosa che gli sfugge. mandano spie, 
sono circospetti, è reticente serse:
onde evitare unitile ecatombe, spera, 
che prima o poi dalla paura lasceremo il muro 
romperemo in disordine le linee 

IV 
improvviso un clangore ci sveglia,
rompe ogni remora il persiano intenzionato 
a chiudere nel sangue la faccenda:
lancia all’assalto un primo contingente 
con l’ordine di catturarci vivi (ma 
niente da fare, li bastoniamo come cani), 
e dunque tocca a idarne e ai suoi immortali 
(peggio di andar di notte - non c’è storia),
manteniamo serrate le file dello schieramento
fingendo di arretrare diamo loro il culo:
insomma li invitiamo addentro il valico 
dove le nostre lance hanno la meglio,
arretrano gli invasori, non guadagnano 
di un solo metro il passo che ci onora, 
che difendiamo a denti stretti 
- e vorrei tanto dirlo a quel magnaccia 
che si fa bello del nostro sacrificio: qui 
caro mio non c’entra l’eroismo 
che non sia solo un Disperato istinto a 
vivere
 
 


benché equivalga ad una strepitosa    vittoria 
questo averli respinti per due giorni,
c’è poco da far festa al campo:
ci si sta in silenzio ed il morale è a pezzi
piangiamo pure noi qualche compagno.
qualcuno sottovoce impreca, altri contempla 
l’Olimpo che ci sta di fronte ove banchetta il dio,
altri non fa mistero della sua baldanza
sguaina la spada, è in preda alla follia, parla da solo e 
ride
 
 

VI
leonida è pensieroso, si consulta 
con gli altri duci sul da farsi. attende 
lui pure che improvviso sbuchi dal sentiero 
un nunzio che preceda nuove truppe 
con loro sì potremo dare filo 
da torcere al persiano
cacciarlo al mare ove la flotta, 
stanziata all’artemisio, farà il resto.
 
 
 

VII 
sono mille gli opliti messi a guardia
della montagna, controllano la scesa
il vico stretto di anopàia il cui segreto
un tale della zona - dicono - la notte scorsa 
abbia venduto a serse
(che l’abbiano inventato apposta un traditore
per riparare all’onta dell’aggiramento?)
Intanto vero o falso poco importa:
passa il nemico e chi è di vigilanza dorme o 
non s’accorge che qualche foglia
scricchiola sotto il felpato passo, che frana
qualche ciottolo per la scarpata.
spunta l’aurora, sono quasi in cima 
ma quando se ne accorgono i focesi,
di stanza sul pendio, è già ormai tardi:
sono in balia del panico, disorientati
confusamente imbracciano le lance
- fortuna che i persiani non si curano 
di quelli che già tengono nel pugno -
e quindi ridiscendono la valle, 
marciano avverso noi lungo la costa 
… che siamo i più temuti.
 
 

VIII 
leonida ha sessant’anni. se ne fotte 
di quanti manda a morte, vuole farsi onore.
ligio più alla sua gloria che alla polis, 
pur compierla dovrà un’impresa degna 
di Eracle da cui discende che resti negli annali:
d’altronde, lo sa bene che rammenteranno i posteri 
il suo nome e ad uno ad uno quello dei Vigliacchi
non certo il nostro (i poveracci)
 
 

IX
ma leonida è buono, è generoso 
e nel precipitare degli eventi 
manderà a casa quelli che non vogliono 
(pur se da usarli in prima fila tratterrà i tebani 
- che non si fida affatto) e poi
la gloria va spartita in pochi 
d’altronde chi ritorna morirà lo stesso 
perché dei traditori il popolo non ha pietà
 
 

X
oggi avverrà lo scontro
leonida con altri appronta l’armi, 
la spada sguaina ripetutamente, 
la lancia lucida che abbaglia il sole 
dà le sue indicazioni ultime: 
ad un suo rispettabile comando 
usciranno di corsa dal valico e 
attenderanno il nemico al centro 
della piana  - poi sarà la fine
 
 

XI
è una follia, combatterli, è una follia vi 
dico, amici, ritornate ma loro non 
si importano imbevuti che sono già 
di gloria forsennati esultano 
viva la libertà viva la grecia 
 
 

XII
chiamatemi codardo vile e vigliacco
premieranno i posteri la mia viltà
d’amare più la Vita che l’onore e guerra
 
 

XIII 
difendono accaniti il corpo di leonida,
conteso quattro volte all’ira del persiano, 
lo abbracciano, ne fanno scudo (la reliquia)
ma in guerra la pietà non si conosce  
con gli archi li finiscono i nemici 
e li sotterra lento un piovere di frecce
 
 

XIV
giunge voce che serse ha perso due fratelli e 
circa ventimila dei suoi uomini 
(trovo che il numero sia esagerato 
- ciò non toglie che Duro è stato il colpo 
infertogli dalla battaglia).  sta il fatto invece 
che precipita verso la grecia interna
(la minaccia) e reca come un vessillo 
affisso a un palo la glorïosa 
testa del Re straziata ché tutti la vedano e 
sciolgano con noi alleanze per timore


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