POESIS
1. Prologo
2. Prospettiva culturale
3. Ne bis in idem
4. H. CARM. 2. 14
5. Principio di indeterminazione
6.
Pellegrini
e stranieri
7. Fata ducunt
fata trahunt
8. A verbale
9. Beslan
10.
Contemplazione
11.
Epicedio per gli amici
12.
Cantico 2005
13.
La vita
14.
La derivata prima
15. Contrasto
16. Il punto di vista
17. Tempo di vivere
18. Epicedio per un gatto
19.
Eterno male
1.
Prologo
Il tempo
che mi
ha levigato
d'impalpabile
entropia
lentamente
persuadendo
anche me
al comune
sonno senza sogno
(salvi
fremiti
intensi
e ripetuti
ma non
liberatori)
a poco
a poco
anche per
me
spiegherà
l'elusivo
pi greco della vita
2.
Prospettiva culturale
Mentre il
garzone ostenta l'orecchino
stolidamente
conforme
e nemmeno
sospetta l'annuncio in esso contenuto
di mozzo
a servizio delle galee veneziane
con apposito
nome d'arte,
l'ignara
mi guarda sprezzante
perché
pronuncio NIKE, come scritto:
quale rapporto
si potrà mai istituire
tra le
calighe alla moda
e la Vittoriosa
alata nel
vento di Samotracia?
3.
Ne bis in idem
…la tua
anima accogliere
nelle mie
braccia,
il tuo
corpo stringere
nella mia
anima
e scancellare,
scancellare via
l'inesaudibile
supplica
di riscrivere
tamquam non esset
il nostro
solitario, irrelato regesto…
4.
H. CARM. 2. 14
Ma sì,
lo so; lo so da me,
senza citare
(Platone
Paolo Schopenauer Nietzsche…):
insidioso
il tempo tutto consuma.
Ma forse
questa disperazione
– anch'essa
cosciente –
per l'assoluto
così
leggiadramente
crudelmente
incarnato
e che senza
senso si disfà
segna il
supremo scherno
dell'identità
– oh sì: levantina –
kalón
kai agathón
che non
sappiamo ripudiare
5.
Principio di indeterminazione
Dal soffio
primigenio pre-sentimmo
per nostro
destino scritto nel D.N.A.
– homo
sapiens sapiens –
che infine
avremo imitato
la conquista
del cielo
invocata
nei miti.
Ancora tentiamo
i sigilli
del gene
e dell'invisibile
salpando
per innumeri universi periodici
e tempo
misurando all'uomo.
Così
noi deìpari
indeterminati
alla conoscenza
lungo il
labirinto dell'episteme
e sorpresi
nella pienezza dei tempi
cum solvit
saeclum in favilla.
Insieme
l'amore
profetato più grande
non invano
6.
Pellegrini e stranieri
Pellegrini e stranieri
secondo
il mirabile tuo
ossimoro,
Marguerite,
tutte le
poete e i poeti
di ogni
arte e parte invero
inseguono da
sempre i segni-sogni
della vita
e un poco li
svelano e li contemplano
e li toccano.
Infine li
cantano,
propriamente
per te e per noi.
Qualcuno di loro
viene eletto
lirico fra tanti
a nostra
arbitraria passione:
per dire,
Saffo e Alceo dalla
cerulea Lesbo,
l’Anonimo del
Cantico, Lucrezio
veggente e
il Paolo
dell’inno all’amore
al pari di Catullo;
quindi il
pallido Francesco e
il Foscolo magnanimo,
l’equoreo
Hoerderlin e Charles
degli effimeri fiori
fra i quali
vive anche Emily.
E
appello ancora Rilke
Rainer Maria,
Eliot
Thomas, Neruda Pablo
Montale
Eugenio fino a Brodskji
Josef e a Turoldo Davide
e solo per il
momento …
Io davvero non c’entro
e tuttavia
resto assente e presente
insieme,
per grazia
indiscreta pellegrino
e straniero
assorto
nel puro e semplice
silenzio
complice
delle tenere infinite
aspettazioni …
7.
Fata ducunt fata trahunt
Colpo empio su colpo empio
il maleficio
arcano
di Medea e
degli Atridi
si perpetua
spietato e non sazio
lungo il caos
degli evi
si profonde
accanito d’orrore
per noi
sgomenti scientisti-teisti
su lignaggi e
stirpi
certo baciate
dagli dèi
ma
nella sorte
tutte del pari inermi.
Giù giù, né
Svevi o Ezzelini
né
Manzoni o Wittgenstein
né
Kennedy o Agnelli
pur
consapevoli
d’ogni
novella sorta d’impetrazione
d’esorcismo
scongiurano
più della
deprecazione vana di Cassandra
a riprova di
tempo scienza rito
spazio fede
prudenza
egualmente
d’un colpo insani
e pagani.
Le tue lacrime, stolta Niobe,
non asciugano il nostro tempus
lugendi
né detergono l’occhio
né sollevano il velo che
offusca la mente
né rasserenano la risposta
della vita breve
che non vivremmo senza amore
e non viviamo senza sogno.
8.
A verbale
Donna abbrevia domina
perché
amore accende
amore
dà, amore prende.
Passione
dura
finché
l’intende
la primigenia
iscritta sua natura
quale vitale
suprema fonte
che diretta
incorrotta
offre e
sorprende corpo e anima
trasalendo
insieme.
Quando più non sanno
né
dolore né piacere
né
rilancio né
impegno né giuramento
né
cura né affanno,
le sue scelte
su te declinanti
inerti posano
e quanto
risoluta sollecita
al tempo
delle dolci premure
ora sé
impavida difende
inconoscibile
– sconosciuta.
Anche se non da te invocato
imperturbabile
opera il Tempo
la sua
parabola
cagionando
acerbo esilio e rimpianto
agro
per la sacra
persona per la giostra
soave
svanite ormai
in semplice fumo
in penoso
oblio da te disgiunte.
Ma non ti voltare a mirarla, Orfeo.
9.
Beslan
Nella scuola sbrecciata
l’incubo
d’orrore raggruma
fiumi di
sangue rosso
e di gialla
orina,
colati
crudi
dentro la
plastica nera
dell’olocausto
blasfemo.
Silenzio bianco di gemiti
spegne la
rabbia livida
di fanciulli
madri padri
dannati e
ribelli
a giusto nome
d’innocenza
e di sete
vuota di misericordia.
Senza lacrime
senza
luce
senza
cielo
nella
sterminata polvere cinerea
urlano
tutt’insieme
l’atroce
invettiva-disperazione
“Perdio,
perdio,
che ne faremo
di dio,
di dio
terrorista
per strage
d’innocenti?”.
Ma altra voce dis-umana
irride
infuria ostile
“Se dio con
noi,
chi contro di
noi?”.
Ora il clamore osceno
angoscia
d’apocalisse ostinata
i giorni
sacrileghi muti
di lutto
senza perdono.
Forse per l’uomo
non sta
più scritto da
nessuna parte
di giudicare
la pianta dai frutti.
10.
Contemplazione
Tu sapevi, Franco Sartori,
nella tua
dotta e precisa lezione
austera
che gli
astanti discepoli affettuosi
involavi in
cerchi ironici
verso sublimi
empirei
discettando
di tragèdi
o di Plato o d’Augusta Historia …
Da te deprecato e non temuto
lo strappo
osceno delle Moire
alla vita
s’è
consumato
nel filo
umano della frequentazione
severa
affabile
rigorosa
amabile
a ricreare
incanti conoscenze
afflati
empatie approdi d’intelligenza.
Nel tempo a noi dato
ora
progressivamente
davvero
opprime
e s-muore
la
contemplazione di s-terminato
silenzio
sulla tua
voce irrevocabilmente
dismessa
per la nostra
ultima
domanda
inespressa
nell’arguto
sorriso dell’enigma
sospeso
intravedibile
solo in desiderio.
Notificato a te, a tutti
l’addio
dunque sta propriamente
qui.
A dialogo
interrotto.
11.
Epicedio per gli amici
Chi penserà il dolore e
il destino dell’uomo
se anche tu
fratello – filosofo
o artista o poeta
o semplice
amico reciprocamente
caro –
ti lascerai
sopraffare
dall’effetto
di neve
che cade in
candore e poi stinge
annerisce nei
colori d’inverno
e ghiaccia le
acque del lago
smorzando
suoni e voci
fino al gelo
acido dell’assenza?
Al mio telefono ogni tuo singulto
ribelle
erompe
dal turbamento dello
spirito
non
rassegnato contro l’osceno
d’oscurità
e dis-ordine.
Segna senza
paradiso anche tutti
i nostri
sensi
devastati
per
desolazione inesorabile della
natura.
Dintorno la leggiadria delle
persone
e la luce
delle intelligenze
e la
coscienza del divenire e
dell’essere
si spengono
agli affetti più
ambiti,
anche nel
nostro dialogo intimo
nella sua
stessa universale
vicenda
solo
momentaneamente interrotto.
È niente e tutto, Amico,
questo umano sentore del futuro
fluire.
12.
Cantico 2005
Il lamento di Job il Giusto non
bastò a insegnare l’etica
all’onnipotenza
s-pietata e daimonica
del Dio degli eserciti
tanto che
assurdi credenti abbracciarono
la croce del Cristo
implorando/contemplando
l’assurdo
della duplice natura
geneticamente
uomo-dio librato
fra cieli e inferi.
Dopo secoli nei secoli ri-viviamo
ora la strana stagione
che la
devastazione del mondo
rinnova
attraverso il
guasto della stessa
Natura
disvelata non
più nel
sereno ordine cosmico
fiori erbe
frutti animali
ma nel
piagato fomite di calamità
contagi cataclismi
infestazioni
carestie catastrofi
pestilenze pandemie
esalate dal
vaso tossico dell’amorale
onnipotenza di Pandora.
Il flagello resta dunque anche
oggi largamente fuori di noi
non
più che stordite comparse
sbiadite nel
tempo e
perciò
estranee a salvezza-auto-redenzione
benché
per libero patto
umano
forse ancora
capaci
di
accendere/consolare una perenne
speranza.
L’esile nostra lusinga di comporre
l’umana
incerta virtù
in felice amorevole ventura
rischiara la
notte ora vana nei
miti disfatti.
13.
La vita
Permango un uomo antico
dubbioso
della stasi notturna
dell’erba
come del
riapparire mattutino
del sole
ma sensibile
alle alterne vicende
di germogli e
disgeli.
Davvero non riesco a pensare
al vento vuoto
di quando la
mia favilla
si
smorzerà semplicemente
trasalendo.
Nel “dopo” nascente
su preavviso
o guasto o sconoscenza
– la
modalità non importa
–
tempi e spazi
invece
ripetono
simili e plurimi
altre
stagioni d’erbe
chiame
d’animali
derive di
nuvole
fuochi
d’affetti
e linfe di
acque.
L’eterno divenire dell’eguale
a se stesso
solo
psicologicamente affligge
i mortali
con scandalo
di poche lacrime
se forse per
certo
il
“non-essere” rifugge dalla
natura
che
universale respira eterna.
Ogni singola identità invece
sembra geneticamente diligere
non la presenza
ma l’assenza dell’essere –
vuota impronta del
parassita vincente
insensatamente assiso
sulla mia molecola.
14. La derivata
prima
Alfine
l’arbitrario
universo polimorfo
conturba senza
consenso – ammettiamolo –
quando la natura
a tempo scompiglia
ogni nostra più
tenera
felicità
omeopatica.
Questa
derivata
prima
nel cosmo
lenticolare
congiuntamente
sublima
moti e suoni
sfere e polveri
frattali e stringhe
in viandanti numeri
irrelati.
Sorprendono
insieme
residuali speranze
di
personali punti di
flesso – di fuga
lungo velati
interstizi
su affettuose
presenze
invocabili – sia
mai ordinatrici benevole.
In
queste
dissimmetrie d’infinitesimi
le nostre saltuarie
coscienze
declinano
inermi/evasive
l’incognita
della funzione
matrice
assegnata vivendo a
ciascuno.
Se e
quando, cioè,
una plausibile tangente
sfiori e accarezzi
gli umani orizzonti
eterogeneamente segnati
di terra e di cieli.
15. Contrasto
La Natura paziente
sembra
ora intimare
ai
suoi ospiti
gli
avvisi ultimi
d’apocalissi.
Nel
frantumo dei ghiacci
gemendo
i morti per acqua
al
nuovo diluvio –
lamentando
l’arso
delle
rose impietrite
nel deserto
devastato
di crepe.
Invece
i
figli di Eva-di Lucy
accasciano
sterili-violenti
la polemica avida
priva
del senno numinoso
dei
convivi sereni
dei riti d’amore
dei
reciproci giochi
nello
stadio della Città
per
cupe dissolvenze
incestuosamente
negata.
Senza
più tempo di redenzione,
Madre,
ora
che sto penetrando
i
tuoi veli e profumi …
16. Il
punto di vista
Nel
giro dei tempi
non
tanto la violenza fisica
preoccupa
e raccapriccia
bruta
e absoluta
quanto
la forsennata fraudolenza
della
Medusa funesta
che
assale e corrompe
i
puri e i giusti chiamati Abele.
Anche
oggi l’opera al nero
di
contro-comunicazione accanita
occulta
connivenze mendaci
e
somministra folate ipocrite
davvero
sacrileghe che
avviluppano
e insidiano a ciascuno
la
vita anelata libera e bella,
giammai
debellate sempre riproposte
seppur
avvertite e perfino deplorate.
Proclamano
dis-umane volta a volta
valori
“superiori”, banche “etiche”,
commercio
“equo”, sensi “spirituali”,
politica
“imparziale”, diritti “ad
personam”,
prescrizioni
“egualitarie”, filosofia “personalista”,
produzione
“solidale”, democrazia “popolare”,
scienza
“normata”, pensiero “orientato”,
apologia
“veridica”, sincretismo “unitario”,
esperienza
“universale”, relativismo “nichilista”,
interessi
“non negoziabili”, teorie “escatologiche”,
prove
“apodittiche”, scelte “obbligate”,
coerenze
“irrazionali”, apostolato “ecumenico”,
educazione
“spontanea”, umanesimo “a-critico”,
presunzioni
“assiomatiche”, partecipazioni “silenziose”,
dittatura
“maggioritaria-minoritaria”, tesi “salvifiche”,
filantropia
“astratta”, patti “virtuosi”,
vita-morte
“inviolabili”, terapie “s-pietate”,
amori
“platonici” ecc. ecc.:
a
cascata,
sono
tutti altri nomi
dell’impostura
rapace dei pulpiti
che
peraltro sorprendentemente legittimano
una
qualche vera e finalmente non contraddittoria
“poesia
morale”.
Anche
questa, si licet,
che
dedico a te
piccolo
e amato, forse sperduto e sconcertato,
figlio
dell’uomo che vorrà vivere intera la sua vita.
17. Tempo
di vivere …
Nessun
paradosso dicendo
che
per ogni vivente
il
tempo sfuma ed esala
nel
giro dell’identico oscuro morire
se
l’intero cosmo
procede-implode
poliverso
nell’omega
della natura
nuovamente
aurorale e feconda
ad
accogliere e riciclare il tutto.
Nulla pretendiamo di sapere
di
quanto è e ci attende
in
quell’attimo laggiù
ma
il pensiero
di
rientrare nel grembo
corrisponde
alla
predetta
metafora del ritorno
escogitata
per il mondo fisico intero
e
non ci toglierà
la
misurata coscienza di un
infinito
nexus
che
intenso continui oltre la vita presente
malgrado
tutto e inspiegabilmente
per
clinamen seducente d’amore.
A
partire dai viventi più prossimi
prima dopo intorno
a
ciascuno di noi.
Così
davvero sia.
18. Epicedio
per un gatto
Rambo
nerobianco gattone
sovrano
(anche
perché
preferibilmente
appostato
a
occhieggiarti dal fastigio
della
credenza di cucina)
stasera
non accorrerà più – misero –
al
rombo della “Punto”
per
ricevere il tuo amore e la tua carezza.
Un
altro motore empio
lo
ha centrato tra i fari sanguinari
a
sottrargli vita e spirito sottile e ironico
nello
struggimento para-umano
non
davvero minore,
come
quando ti esaminava
serio
e compunto
prima
di finalmente concedersi morbido
mulinando
la coda
intento
alla scelta del plaid
e
a mordicchiarti la mano
per
riconoscimento paritario d’amore.
Addio,
felix felis infelix,
il
vuoto che lasci esanime
mi
trafigge il cuore.
19. Eterno
male
Nel
giro dei tempi
non
tanto la violenza
angustia raccapriccia
quanto
l’avida fraudolenza
che
punta e artiglia
i
ciechi mortali.
Anche
oggi l’opera nera
di
contro-informazione
maschera
ciniche spoliazioni
per
ipocrisie sacrileghe
che
insidiano a ciascuno
la
vita anelata libera e bella.
Proclamano
dis-umane aporie
volta
a volta di guerre “sante”,
trascendenze
“rivelate”, banche “etiche”,
“equo”
commercio, sensi “spirituali”,
politica
“imparziale”, diritti “privilegiati”,
imposizioni
“egualitarie”, filosofia “conclusa”,
“solidale”
produzione, democrazia “popolare”,
scienza
“normata”, pensiero “univoco”,
apologia
“oggettiva”, sincretismo “unificante”,
“universale”
esperienza, relativismo “debole”,
“innegoziabili”
interessi, teorie “escatologiche”,
prove
“apodittiche”, scelte “obbligate”.
Collaudate
perfidie insinuano anche
“variabili”
logiche, proselitismo “ecumenico”.
educazione
“coatta”, umanesimo “impersonale”.
“assiomatiche”
presunzioni, tesi “assolute”,
dittatura
“benefica”, partecipazioni “silenziose”
filantropia “astratta”, accordi “valoriali”,
destini
“inviolabili”, terapie “costrittive”,
amori
“platonici”, sapere “gnostico”,
paradosso
“teologico”, pene “capitali”,
“giusta”
giustizia ecc.:
a
cascata, sono tutti
altri
nomi dell’impostura dei pulpiti
sebbene
sbugiardata
da
qualche coerente
poesia
“morale”.
Anche
questa, si licet,
che
dedico a te piccolo e amato
dubbioso
e sperduto figlio dell’uomo
che
vorrai vivere intera la tua vita.