1. Dialoghi egizi
2. Antigone rinata
3.
Ipogei della Daunia
4. Tikal
5. Blackrock
6. Era l'alba dei nomi
7. Pietre vive
8. Suggestioni etruscocretesi
9. Un’anfora-fanciulla
10. remi per itaca
11. per quale senso (inedito depositato 2022)
12. fame d'aria (Covid 19, 2021)
13. Kiev
14. a Saffo posso rispondere solo per frammenti
15. Da Per Segni Accesi
1. Dialoghi egizi
I primi
tre brani sono inediti depositati.
Fantasma-Iside a Roma
scivola
dalla punta della Piramide
(appena
rallento in curva)
come
sul tappeto al lunapark eretta
in
mano il sistro che tintinna
entra
in macchina siede al mio fianco
mi
fissa multipla d’occhi ardente
mille
canali luce nel cervello
mille
raggi tatuati sulla pelle
ma
non doveva l’apice solo svettare
mai
più guardare in basso?
qui
sono io contesa alla terra
nella
sottile guerra lunare
sentirmi
esplorata fino al midollo
accade
intorno al cimitero acattolico
dove
premere l’acceleratore è
inammissibile
fuga
e
questa rete di musica lanciata sulla fronte
piega
a misure armoniche
arcano
che si celebra qui sull’asfalto
tra
i miasmi e uguale in alto astrale
voce
acquablu di Shelley
nella
corrente di lamine d’elettro
mi
lambisce l’orecchio
mentre
lei è già lontana nilotica
Senza titolo
due
sfingi salde ironiche
sfidano
in lingua di granito
l’opacità
del tempo
battono
di riflessi solari
i
miasmi del 21°
intatte
dallo sciame babelico
d’alta
e bassa europa
–
voci geroglifiche
in
cerca di una stele che traduca –
di
là dal mare a ringhiare
cani-pastore
e lupi
prima
e dopo i massacri
qui
in attesa del limo
da
sempre provano a convivere
dall’alto
al basso egitto
cobra
e avvoltoi
splendente
l’ibis
lento
col
becco che trafora
Alessandria, febbraio
2008
Nilo
balsamo lento di messaggi – a lungo
dormono
i fiori del loto in boccio sotto la superficie
maternità
d’acqua che deborda
in
petali d’aroma verticale
in
alto sul granito
le
colonne di File – parole impilate che si staccano
ad
una ad una in ponte trasparente
a
dire al cielo dire
e
questo fiume turistico di voci a suggerire
questuanti
al tempio a bere latte d’Iside
offrire
lembi della mente dispersi
le
smembrate domande da ogni dove
File,
febbraio 2008
Lamento di faraone
da Porte/Doors, Edizioni del Leone, 2002
Beato
ero
bendato
svuotato
eppure sazio
imbalsamato
Lasciavo
perfino indovinare
un
sorriso indulgente
di
esatto dio deposto
nel
punto di intersezione
dove
la geometria del cielo consolava
il
pianto notturno delle stelle
Di
peso emigrato
spaesato
immuseato
assordato
–
una babele queste lingue d’oltrafrica –
E
poi, mi è proibito dai sacerdoti
ascoltare
le vostre risa
dopo
l’ultimo pianto
In
frantumi le vibrazioni d’Iside
Capovolto
sul dorso lo scarabeo
Rendetemi
alla pace tetragona
ombra
materna della cuspide
Ho
ancora
scorte
d’essenza raggrumate
negli
occhi nelle narici
Dovevano
abbondare
perché
non dimenticassi
d’essere
figlio d’astri
fin
sotto le unghie
Mi
squarciaste la prua del tempo
bozzolo
nave in sacra metamorfosi
per
scoprire solo sbuffi di sabbia
(assistevo
immobile
io
scarabeota)
Sabbia
ridatemi sabbia
smeriglio
del vento sulle rose
rumore
vagabondo delle dune
limo
sul pube dell’immensa dea
–
sua è la carne dei fiori –
Oh,
inonda, Nilo,
terra
e cielo tutto
e
me
fino alle tue stelle
2. Antigone rinata
a Maria Zambrano
Emergi
dalla tomba, ne liberi
la
culla, deterse le pareti
da
ogni grumo di pianto
Chiaro
si leva il profilo
infantile,
luce dall’ombra
sacrificale, sofía dall’innocenza
gioco
esploso
Nessuno
ha mai detto
della
tua fronte lampeggiante
alla
rinascita, della tua effigie
sulla
prua di ogni nave: mare
femminile,
assalto
di
pensieropassione, vie
larghe
delle città dove trascorrono
i
destini, approda il senso
La
fossa si capovolge in arca
gli
spigoli s’incurvano
fioriscono:
l’ordine
vive
del disordine, pianta viva
capace
di fermare il deserto
Ti
corrono incontro pallidi
i
fratelli abbattuti
belano
occhi-agnello
le
domande sgomente
Nel
buio lanci nitide risposte
e
l’eco si moltiplica: guarire
la
distanza, dissolvere l’esilio
fermare
il diluvio col delirio
(tu,
salda
sulla tua sedia bianca)
3. Ipogei della Daunia
*
forse
sapevi che
t’avrei scoperto
fratello
dauno
nei tuoi
cerchi
d’ossa
– il tuo
cranio al
centro –
pietra
votiva
purissima
materia
d’uomo in
solitudine essenziale
dialogando
col dio
forse
sapevi che mi
sarei fermato
al fiore
desiderato
del tuo linguaggio
ad
ascoltare i
boschi, l’acqua
il
cammino, le
doglie
i lupi,
il mare
io
contorto
itinerario d’asfalto
che
continuo a
scavare
tra le
macerie di
un crollo non lontano da te
tra le
macerie dei
miei crolli
ho
rivoltato
furtivo la tua capanna
pure il
giaciglio
scomposto
di
domande alla notte
ora sul
capo fili
di paglia
a
insinuarmi una
leggera pace
seguo
tracce di
rame scintillanti
mentre
s’affievolisce
la mia
torcia
d’acciaio
barcollo
anfibio
come una
palafitta
mal
radicata
perché
è difficile
decidere
tra la
profondità
dove
affonda un
fango instabile
e
l’altezza
dove
alita senza
direzione
un
mutevole
cielo
dove
cercare
in tasca
avverto,
acuti
gli
spigoli dei
dadi genetici
chi
lancia i dadi
non è la mia mano ferita
è
il dado stesso
che si anima
e ogni
volta
stupisce
quel
folle
nume-numero
in
libera caduta.
capovolge
le tue
lamine di
bronzo
disincide
speranze
eclissa
le tue
stelle
mi lasci
terra
terra
sotto le dita
terra da
modellare
per il viaggio
coppacapannatumulo
– i più semplici
strumenti
di
navigazione –
navigo,
tu barra
fantasmatica al timone
infilo –
grani di
tempo –
piccole
sfere
d’ambra e conchiglie
sulla
tua donna al
collo
a farti
dolce il
cuore
forse
perdona
questo silenzio
dauno
4. Tikal
Sono
arrivata fin qui,
mia
disponibile madre,
giungla
di lusso e ferocia
come
a rifarmi un nuovo corredo
di
pelle e respiro
Lenta
mi immergo nell’Eden
–
i colori potenti mi avvelenano quasi –
e
le essenze mi abbattono
tocco
liane sospese
a
un tetto di rimorsi
Ecco
Tikal – le mura divorate –
giaguari
ne difendono i varchi avanzando
col
passo antico del dio
Ecco
i campi di mais festeggiati
coi
colori dell' anima
splendenti
sulle vesti
Ecco
il popolo Maia
profili
di fango indurito
ancora
oggi in silenzio
al
pozzo dei sacrifici
Grida
sottili mi avvolgono
e
sanno di agonia
E
un sole-pelota balza in alto
e
ricade
roteante
destino
di
una stirpe avvilita
5. Blackrock
È
qui, da qualche parte
una
sibilla ignota, celtica
Il
tocco della veste
dove
l’onda s’increspa
il
suo respiro, dove una piuma
mulinella l’acqua
le
vive moltitudini vibranti
la
vocecanto di sorgente l’acqua
racconta
l’attrazione sacra
l’ingresso
nella festa dei corpi l’acqua
accompagna
la dissoluzione
piano,
fino alla foce d’acqua
responso
sulle foglie: chiara
la
terra capovolta, riflesso il cielo
Noi,
sul fondo, solo
memoria di parole
6. Era
l’alba dei nomi
MEDITERRANEO
Marina
Serra. Assalto
di
un’alba nitida, capace
di
spingere i monti d’Albania
fin qui,
sotto il balcone
Posso
toccarli quasi
fianchi
verdi e radici
intrecciate
alle mie
Da costa
a costa
scintillano
di senso le correnti
lu
rusciu de lu
mare
canta in mediterraneo
Potevo
essere nata su quei monti
e mia
madre avermi lavata nel canale d’Otranto
nutrita
con zuppa d’alghe e filastrocche di Lushnje
potevo
trovarmi in quella barca
così
traboccante di speranza
che i
fianchi non reggevano al rimorso
Mi trovo
in quella barca, sono
albanese,
pure
messapicagrecaegizialibica
il mio
sangue è incontro d’onde
paziente
e antico
(continua
a mescolare
questo
inascoltato mare)
EVA
(diario dall'Eden)
Alba. Mi
sveglia
un’inquietudine
lucida: solito
letto di
fiori, solito
traboccante
profumo
Nausea.
Questa luce imperiosa
che mi
ama in ogni millimetro,
eterna
Mi vedo
deforme
in
questa veste deiforme, perfetta
Ho
sognato, stanotte
profezie
di dolore: vagavo
lupa in
cattività, nel Giardino
sontuoso,
immutabile
Non
resisto. Allo zenit fuggo
decisa,
sotto l’ombra del melo
Scelgo.
Il dolore che libera
la
finitezza del tempo
Addento
la polpa
sapida e bassa
che mi
abbassa
fino
alla terra scarlatta, all’essenza
dell’humus,
sangue della nascita
Notte.
Adamo
oh mio
capitano
non puoi
che seguirmi
seguire
il vaso intuitivo
di
femmina, il tuo femminile
cavità
del tuo desiderio
pienezza
della mia costruzione
Benedico
quel frutto
E’ valso
soffrire se il grido
mentre
offro mio figlio alla terra
il mio
grido, il suo grido
è
sublime
Germogliano
intanto
i semi
di mela che avevo sputato
Intorno
ho un ardente meleto
7. Pietre
vive
maternale
mi
sono coperta di sabbia
in
empatia con l’isola che dorme
davanti
a me: una donna-scoglio
la
fronte alta contro le nebulose
la
gola piena come in largo respiro
sazia
del suo ventre in attesa
mi
sono coperta di sabbia
a
mimare il suo profilo
entrare
nel suo tempo
–
nove mesi come millenni –
ho
atteso un battito un segno
(quel
falco improvviso su di noi le
sue
frasi
in
altissimi cerchi)
mi
scrollo via la sabbia
cammino
sulla riva
in
questa luce augurale che apre
la
coincidenza dei tempi
una
sposa venirmi incontro
sorridermi con il suo lasciapassare dal
mito
la
manocarezza sul ventre
come
fossi sua madre le chiedo
il
tempo del parto
Sardegna, Portu Tramatzu
una
fogliaresponso segnata di tempesta
un
fiume irresoluto che trema nei meandri
riconosco
gli scarti premonitori
la
mano di bronzo che affiora
a
trascinarmi al fondo
emergo
un’estate, a Malta
insieme
a sorelleamiche calpestando
tracce
di un tempio dal profilo-femmina
arcaiche
voci e nuove colmano
le
mie giare di grano di balsamo
sentirne
la cura
il
nastro di pace sulla fronte
Malta, Tempio di Tarxien
Soluzioni
occorre
così poco
a
erigere un santuario
mirto
lentisco vento
rocce
che guardano dall’alto
la
pianura dei vivi lontano
il mare
occorre
così poco per entrare
nella
spiraleterna che rigenera
lasciarsi
adagiare contro il cielo
al
purissimo rito degli uccelli
poi
le ossa lente fondersi
in
deità di pietra
(denti
di lupo incisi a far da guardia)
occorre
così poco a conquistare
il
rango di dea custode
tenere
fermo lo sguardoincanto
sui
figli – ancora oggi in affanno –
lasciati
al paese, in basso
là verso la riva
Sardegna, Necropoli di Montessu
Cfr.
A. Ferramosca, La poesia Anima Mundi, a cura di G. Lucini, puntoacapo Editrice, Novi
Ligure 2010. I brani
sono tratti dalla sezione Canti della
Prossimità.
8. Suggestioni etruscocretesi
Grandi Madri di Malta
equivalenza dell’aspetto fertile del tempo
a questa madre
feliceobesa guardiana di Tarxien
curvilinea di abbracci
semplicità del corpo senza necessità di scrittura
parola sazia sacrale
indicando la direzione morbida innocente
doni di granomiele e seme
inarcano i fianchi
il ventretempio imita il cielo
le nove lune trascorrono
in sonno largo di incontri
madre dormiente in preascolto del vagito, pure
del nostro lamento
Great Mothers of Malta
the fertile aspect of time
is equivalent to this mother
a happyobese guardian of Tarxien
curvilinear with hugs
the simplicity of her body needs no writing
like the sated sacred word
pointing out the soft innocent path
gifts of hooneywheat and semen
curve her thighs
her wombtemple imitates the sky
the nine moons go by
in a long slumber of encounters
sleeping mother wakeful to the newborn’s cry, even
to our lament
Noi Etrusche
da voi parole-pietra, telepatiche
perché lungo il tempo
mai abbiamo smesso di parlarci fitto
sul bordo di labbra in sorriso
coprendovi lo sposo – lui convinto –
col braccio le spalle per il viaggio
noi furtive e ironiche
abbiamo già solcato quel mare languido
nella decisione che sarà più largo e pacifico
e maternale tutto ciò che da aruspici
abbiamo divinato
l’attesa a noi si addice
e la festa, nel tempo di Horta delle messi
e di Feronia che fa correre in seno il latte
ancora per le mensa d’aprile prepariamo
l’agnello primo nato
e mandorle e miele
la danza a noi si addice, muove
solo per corde e voci, a ottundere
l’ultima eco di lame- fluttuano
ancora, agli uomini dietro la fronte -
a cancellargli il canone del rosso
rossa pelle di rosse vittorie
cantiamo il ruotare di lune
sulle ombre azzurre dei rami dei nidi
noi etrusche oggi, fianco a fianco
a liquefare il ferro delle spade
in conche d’esorcismo
e parole e parole a modellare
la vita in forme vive:
sostegni per la vigna, sedie
per i racconti della sera
We Etruscan Women
from you we have stone-words, telepathic
given that over time we’ve
never stopped talking to each other intently
from the corners of smiling lips
with your husband’s arm – confidently –
round your shoulders for the journey
we, furtive and ironic
have already sailed that sentimental sea
knowing that everything we’ve foreseen
as aruspices will be wider, more pacific
and maternal
the wait suits us
and the feast, in Horta’s season of harvests
and Feronia’s that makes milk flow in our breast
once more for the April table we prepare
the first born lamb
and almonds and honey
the dance suits us, it moves
only with chords and voices, blunting
the last echo of blades – still
floating in men’s heads –
erasing the red tradition
the red skin of red victories
we sing the moon’s rotation
on the blue shadows of branches, of nests
we etruscan women today, side by side
liquefying all the iron of swords
in exorcistic bowls
and word upon word we model
life into living forms:
stakes for the vineyard, chairs
for night-time stories
Un labirinto inciso in lineare B
un labirinto inciso in lineare B
sigillo interno
da sempre nasce con noi
ci segue ci segna
come nel gioco a quadri quando
disegnavamo in terra una campana
vita percorsa a balzi, intrico che dipana
bambine-Ariadni attente
a non calpestare il limite
mentre ostinati i piedi battevano
sulle sbarre del mondo
i voli, gli arresti smarriti
un labirinto in sinuosa traccia danzante
che di continuo inverte il moto
in ricordo dello sperdimento scuro
della biforme vinta creatura
ancora oggi mito
ogm-chimera
ci salva la donna dei gomitoli
signora del labirinto
con le sette stanze dello stupore
nella sua cavità delle nascite
offrirle un vaso ebbro di miele
un grazie danzato tutti legati a un filo
nel buio dei meandri chiaro s’avvolge
si svolge irresistibile
uno scialle si agita nella danza del ragno
Aracne annoda e snoda la sua tela d’incontri
A labyrinth etched in linear B
a labyrinth etched in Linear B
an internal seal
from the beginning born with us
following us branding us
like the hopscotch squares
we drew on the ground, a life-path
travelled in hops, the intricacy unravelling
we, little Ariadnes careful
not to cross the boundary
while our feet obstinately beat
against the bars of the world
the flights, the bewildered stops
a labyrinth in its sinuous dancing trail
that keeps inverting motion
recalling the dark disorientation
of the defeated bi-form creature
the GMO-chimera
still a myth today
we are saved by the lady with the ball of fleece
mistress of the labyrinth
with the seven rooms of wonder
in her cavity of births
we’d like to offer her a drunken cup of honey
a dance of gratitude all linked by a thread
in the darkness of the meanders a shawl winds
irresistably unwinds
flaps in the spider’s dance
Aracne knots and unknots her web of encounters
9. Un’anfora-fanciulla
Tornava dalla bevuta, acceso e solo
Abbracciato al recinto
serenava per ore alla vite
e al mattino giurava che ogni notte
sotto la vite Lei gli si mostrava
(fanciulla odordimosto?
luna caduta? Arianna furibonda?)
selvatica e fiorente
braccia arcuate sui fianchi
intensa lo sogguardava
Capelli grappolo cirri vedo-non ti vedo
avvitandosi come sul tornio
solo per lui ballava una taranta
– ébriola come te giro e poi giro
per te mi discingo bolero spando aromi
per la tua fronte, mio iucundus
bicchierando gli amici ti denudano il cuore
tu abbracciami la vita vitamara
dulcimi pane e vino, pane e vino
tu scioglimi la vita vitangoscia
brindami pace e vino, pace e vino –
Sotto la vite un giorno après-midi
un’anfora trovarono
in forma di fanciulla
Sul manico beata
una tarantola in trance