Senecio
     SENECIO

Fondatore
Emilio Piccolo

Direttore
Andrea Piccolo e Lorenzo Fort



Non si tratta di conservare il passato, ma di realizzare le sue speranze
Horkheimer-Adorno, Dialettica dell'illuminismo

Rivisitazioni, traduzioni, manipolazioni



Redazione
Sergio Audano, Gianni Caccia, Maria Grazia Caenaro
Claudio Cazzola, Lorenzo Fort, Letizia Lanza

Annamaria Ferramosca
Scheda biobibliografica

1. Dialoghi egizi
2. Antigone rinata
3. Ipogei della Daunia
4. Tikal 
5. Blackrock
6. Era l'alba dei nomi
7. Pietre vive
8. Suggestioni etruscocretesi
9.
Un’anfora-fanciulla
10. remi per itaca
11. per quale senso (inedito depositato 2022)
12. fame d'aria (Covid 19, 2021)
13. Kiev
14. a Saffo posso rispondere solo per frammenti
15. Da Per Segni Accesi

 

 

 

 

 





 

1. Dialoghi egizi
I primi tre brani sono inediti depositati.

Fantasma-Iside a Roma

 

scivola dalla punta della Piramide
(appena rallento in curva)
come sul tappeto al lunapark      eretta
in mano il sistro che tintinna
 
entra in macchina siede al mio fianco
mi fissa multipla d’occhi       ardente
mille canali luce nel cervello
mille raggi tatuati sulla pelle

ma non doveva l’apice solo svettare

mai più guardare in basso?

qui sono io contesa alla terra

nella sottile guerra lunare

sentirmi esplorata fino al midollo

accade intorno al cimitero acattolico

dove premere l’acceleratore è

inammissibile fuga
 

e questa rete di musica lanciata sulla fronte
piega a misure armoniche
arcano che si celebra qui sull’asfalto
tra i miasmi e uguale in alto      astrale

voce acquablu di Shelley
nella corrente di lamine d’elettro
mi lambisce l’orecchio
mentre lei è già lontana       nilotica

Senza titolo

due sfingi salde ironiche
sfidano in lingua di granito
l’opacità del tempo
battono di riflessi solari
i miasmi del 21°
intatte dallo sciame babelico
d’alta e bassa europa
– voci geroglifiche
in cerca di una stele che traduca –

di là dal mare a ringhiare
cani-pastore e lupi 
prima e dopo i massacri
qui in attesa del limo
da sempre provano a convivere
dall’alto al basso egitto
cobra e avvoltoi

splendente l’ibis
lento
col becco che trafora

Alessandria, febbraio 2008

 

Nilo balsamo lento di messaggi – a lungo
dormono i fiori del loto in boccio sotto la superficie
maternità d’acqua che deborda
in petali d’aroma verticale
in alto sul granito

 
le colonne di File – parole impilate che si staccano
ad una ad una in ponte trasparente
a dire al cielo dire
e questo fiume turistico di voci a suggerire

questuanti al tempio a bere latte d’Iside
offrire lembi della mente dispersi
le smembrate domande da ogni dove

 

File, febbraio 2008

Lamento di faraone
da Porte/Doors, Edizioni del Leone, 2002

Beato ero
bendato
svuotato eppure sazio
imbalsamato
Lasciavo perfino indovinare
un sorriso indulgente
di esatto dio deposto
nel punto di intersezione
dove la geometria del cielo consolava
il pianto notturno delle stelle

 
Di peso emigrato
spaesato immuseato
assordato
– una babele queste lingue d’oltrafrica –
E poi, mi è proibito dai sacerdoti
ascoltare le vostre risa
dopo l’ultimo pianto
In frantumi le vibrazioni d’Iside
Capovolto sul dorso lo scarabeo

 

Rendetemi alla pace tetragona
ombra materna della cuspide
Ho ancora
scorte d’essenza raggrumate
negli occhi nelle narici
Dovevano abbondare
perché non dimenticassi
d’essere figlio d’astri
fin sotto le unghie

Mi squarciaste la prua del tempo
bozzolo nave in sacra metamorfosi
per scoprire solo sbuffi di sabbia
(assistevo immobile                             
io scarabeota)
Sabbia ridatemi sabbia
smeriglio del vento sulle rose
rumore vagabondo delle dune
limo sul pube dell’immensa dea
– sua è la carne dei fiori –
Oh, inonda, Nilo,
terra e cielo tutto
e me
            fino alle tue stelle


2. Antigone rinata
a  Maria Zambrano
 
Emergi dalla tomba, ne liberi
la culla, deterse le pareti
da ogni grumo di pianto
Chiaro si leva il profilo
infantile, luce dall’ombra
sacrificale, sofía dall’innocenza
gioco esploso
 
Nessuno ha mai detto
della tua fronte lampeggiante
alla rinascita, della tua effigie
sulla prua di ogni nave: mare
femminile, assalto
di pensieropassione, vie
larghe delle città dove trascorrono
i destini,  approda il senso
 
La fossa si capovolge in arca
gli spigoli s’incurvano
fioriscono: l’ordine
vive del disordine, pianta viva
capace di fermare il deserto
Ti corrono incontro pallidi
i fratelli abbattuti
belano occhi-agnello
le domande sgomente
 
Nel buio lanci nitide risposte
e l’eco si moltiplica: guarire
la distanza, dissolvere l’esilio
fermare il diluvio col delirio
(tu, salda
                sulla tua sedia bianca)



3. Ipogei della Daunia *

 

forse sapevi che t’avrei scoperto
fratello dauno
nei tuoi cerchi d’ossa
– il tuo cranio al centro 
pietra votiva
purissima
materia d’uomo in solitudine essenziale
dialogando col dio
 
forse sapevi che mi sarei fermato
al fiore desiderato del tuo linguaggio
ad ascoltare i boschi, l’acqua
il cammino, le doglie
i lupi, il mare
io contorto itinerario d’asfalto
che continuo a scavare
tra le macerie di un crollo non lontano da te
tra le macerie dei miei crolli
 
ho rivoltato furtivo la tua capanna
pure il giaciglio
scomposto di domande alla notte
ora sul capo fili di paglia
a insinuarmi una leggera pace
seguo tracce di rame scintillanti
mentre s’affievolisce
la mia torcia d’acciaio
 
barcollo
anfibio come una palafitta
mal radicata
perché è difficile decidere
tra la profondità
dove affonda un fango instabile
e l’altezza
dove alita senza direzione
un mutevole cielo 
 
dove cercare
 
in tasca avverto, acuti
gli spigoli dei dadi genetici
chi lancia i dadi non è la mia mano ferita
è il dado stesso che si anima
e ogni volta stupisce
quel folle nume-numero
in libera caduta. capovolge
le tue lamine di bronzo
disincide speranze
eclissa le tue stelle
 
mi lasci terra

terra sotto le dita
terra da modellare per il viaggio
coppacapannatumulo
 – i più semplici
strumenti di navigazione –
navigo, tu barra fantasmatica al timone
infilo – grani di tempo –
piccole sfere d’ambra e conchiglie
sulla tua donna al collo
a farti dolce il cuore
 
forse perdona
questo silenzio dauno


4. Tikal **                           

Sono arrivata fin qui,
mia disponibile madre,
giungla di lusso e ferocia
come a rifarmi un nuovo corredo
di pelle e respiro
 
Lenta mi immergo nell’Eden
– i colori potenti mi avvelenano quasi –
e le essenze mi abbattono
tocco liane sospese
a un tetto di rimorsi
 
Ecco Tikal – le mura divorate –
giaguari ne difendono i varchi avanzando
col passo antico del dio
Ecco i campi di mais festeggiati
coi colori dell' anima
splendenti sulle vesti
 
Ecco il popolo Maia
profili di fango indurito
ancora oggi in silenzio
al pozzo dei sacrifici
 
Grida sottili mi avvolgono
e sanno di agonia
E un sole-pelota balza in alto
e ricade
roteante destino
di una stirpe avvilita


5. Blackrock
 
 
È qui, da qualche parte
una sibilla ignota, celtica
Il tocco della veste
dove l’onda s’increspa
il suo respiro, dove una piuma
mulinella                                            l’acqua
le vive moltitudini vibranti
la vocecanto di sorgente                      l’acqua
racconta l’attrazione sacra
l’ingresso nella festa dei corpi             l’acqua
accompagna la dissoluzione
piano, fino alla foce                             d’acqua
responso sulle foglie: chiara
la terra capovolta, riflesso il cielo
 
Noi, sul fondo, solo
memoria di parole


6. Era l’alba dei nomi***

 

MEDITERRANEO
 
Marina Serra. Assalto 
di un’alba nitida, capace
di spingere i monti d’Albania
fin qui, sotto il balcone
Posso toccarli quasi
fianchi verdi e radici
intrecciate alle mie
Da costa a costa
scintillano di senso le correnti
lu rusciu de lu mare 
canta in  mediterraneo
 
Potevo essere nata su quei monti
e mia madre avermi lavata nel canale d’Otranto
nutrita con zuppa d’alghe e filastrocche di Lushnje
potevo trovarmi in quella barca
così traboccante di speranza
che i fianchi non reggevano al rimorso
 
Mi trovo in quella barca, sono
albanese, pure
messapicagrecaegizialibica
il mio sangue è incontro d’onde
paziente e antico
(continua a mescolare
questo inascoltato mare)
             
 
EVA
(diario dall'Eden)
 
Alba. Mi sveglia
un’inquietudine lucida: solito
letto di fiori, solito
traboccante profumo
Nausea. Questa luce imperiosa
che mi ama in ogni  millimetro, eterna
Mi vedo deforme
in questa veste deiforme, perfetta
 
Ho sognato, stanotte
profezie di dolore: vagavo
lupa in cattività, nel Giardino
sontuoso, immutabile
Non resisto. Allo zenit fuggo
decisa, sotto l’ombra del melo
 
Scelgo. Il dolore che libera
la finitezza del tempo
Addento
la polpa sapida e bassa
che mi abbassa
fino alla terra scarlatta, all’essenza
dell’humus, sangue della nascita
 
Notte. Adamo
oh mio capitano
non puoi che seguirmi
seguire il vaso intuitivo
di femmina, il tuo femminile
cavità del tuo desiderio
pienezza della mia costruzione
 
Benedico quel frutto
E’ valso soffrire se il grido
mentre offro mio figlio alla terra
il mio grido, il suo grido
è sublime
 
Germogliano intanto
i semi di mela che avevo sputato
Intorno
          ho un ardente meleto




7. Pietre vive
 
 
maternale
 
mi sono coperta di sabbia
in empatia con l’isola che dorme
davanti a me: una donna-scoglio 
la fronte alta contro le nebulose
la gola piena come in largo respiro
sazia del suo ventre in attesa
 
mi sono coperta di sabbia
a mimare il suo profilo
entrare nel suo tempo
– nove mesi come millenni –
ho atteso un battito un segno
(quel falco improvviso su di noi     le sue frasi
in altissimi cerchi)
 
mi scrollo via la sabbia
cammino sulla riva
in questa luce augurale che apre
la coincidenza dei tempi
una sposa venirmi incontro 
sorridermi     con il suo lasciapassare dal mito
la manocarezza sul ventre
 
come fossi sua madre le chiedo
il tempo del parto
 
Sardegna, Portu Tramatzu
 
una fogliaresponso segnata di tempesta
 
un fiume irresoluto che trema nei meandri
riconosco gli scarti premonitori
la mano di bronzo che affiora
a trascinarmi al fondo
 
emergo un’estate, a Malta
insieme a sorelleamiche calpestando
tracce di un tempio dal profilo-femmina
arcaiche voci e nuove colmano
le mie giare di grano di balsamo
sentirne la cura
il nastro di pace sulla fronte
 
Malta, Tempio di Tarxien
 
 
Soluzioni
 
occorre così poco
a erigere un santuario
mirto lentisco vento
rocce che guardano dall’alto
la pianura dei vivi     lontano il mare
 
occorre così poco per entrare
nella spiraleterna che rigenera
lasciarsi adagiare contro il cielo
al purissimo rito degli uccelli
poi le ossa lente fondersi
in deità di pietra
(denti di lupo incisi a far da guardia)
 
occorre così poco a conquistare
il rango di dea custode
tenere fermo lo sguardoincanto
sui figli – ancora oggi in affanno –
lasciati al paese, in basso
                              là verso la riva
 
Sardegna,  Necropoli di Montessu


Cfr. A. Ferramosca, La poesia Anima Mundi, a cura di G. Lucini, puntoacapo Editrice, Novi Ligure 2010. I brani sono tratti dalla sezione Canti della Prossimità.

8. Suggestioni etruscocretesi****


Grandi Madri di Malta

equivalenza dell’aspetto fertile del tempo
a questa madre
feliceobesa guardiana di Tarxien
curvilinea di abbracci

semplicità del corpo senza necessità di scrittura
parola sazia sacrale
indicando la direzione morbida innocente

doni di granomiele e seme
inarcano i fianchi
il ventretempio imita il cielo
le nove lune trascorrono
in sonno largo di incontri

madre dormiente in preascolto del vagito, pure
                                              del nostro lamento

 

Great Mothers of Malta

the fertile aspect of time
is equivalent to this mother
a happyobese guardian of Tarxien
curvilinear with hugs

the simplicity of her body needs no writing
like the sated sacred word
pointing out the soft innocent path

gifts of hooneywheat and semen
curve her thighs
her wombtemple imitates the sky
the nine moons go by
in a long slumber of encounters

sleeping mother wakeful to the newborn’s cry, even
                                                         to our lament

 

Noi Etrusche

da voi parole-pietra, telepatiche
perché lungo il tempo
mai abbiamo smesso di parlarci fitto
sul bordo di labbra in sorriso
coprendovi lo sposo – lui convinto –
col braccio le spalle per il viaggio

noi furtive e ironiche
abbiamo già solcato quel mare languido
nella decisione che sarà più largo e pacifico
e maternale tutto ciò che da aruspici
abbiamo divinato   
l’attesa a noi si addice
e la festa, nel tempo di Horta delle messi
e di Feronia che fa correre in seno il latte
ancora per le mensa d’aprile prepariamo
l’agnello primo nato
                               e mandorle e miele

la danza a noi si addice, muove
solo per corde e voci, a ottundere
l’ultima eco di lame- fluttuano
ancora, agli uomini dietro la fronte -
a cancellargli il canone del rosso
rossa pelle di rosse vittorie 
cantiamo il ruotare di lune
sulle ombre azzurre dei rami dei nidi 

noi etrusche oggi, fianco a fianco
a liquefare il ferro delle spade
in conche d’esorcismo
e parole e parole a modellare
la vita in forme vive:
sostegni per la vigna,  sedie

                 per i racconti della sera

 

We Etruscan Women

from you we have stone-words, telepathic
given that over time we’ve
never stopped talking to each other intently
from the corners of smiling lips
with your husband’s arm – confidently –
round your shoulders for the journey

          we, furtive and ironic
have already sailed that sentimental sea
knowing that everything we’ve foreseen
as aruspices will be wider, more pacific
and maternal    
the wait suits us         
and the feast, in Horta’s season of harvests
and Feronia’s that makes milk flow in our breast
once more for the April table we prepare
the first born lamb
                             and almonds and honey

the dance suits us, it moves
only with chords and voices, blunting
the last echo of blades – still
floating in men’s heads –
erasing the red tradition
the red skin of red victories
we sing the moon’s rotation
on the blue shadows of branches, of nests 

we etruscan women today, side by side
liquefying all the iron of swords
in exorcistic bowls
and word upon word we model
life into living forms:
stakes for the vineyard, chairs

                  for night-time stories

 

Un labirinto inciso in lineare B

un labirinto inciso in lineare B 
sigillo interno
da sempre nasce con noi
ci segue ci segna

come nel gioco a quadri quando
disegnavamo in terra una campana
vita percorsa a balzi, intrico che dipana
bambine-Ariadni attente
a non calpestare il limite
mentre ostinati i piedi battevano
sulle sbarre del mondo
i voli, gli arresti smarriti

un labirinto in sinuosa traccia danzante
che di continuo inverte il moto
in ricordo dello sperdimento scuro
della biforme vinta creatura
ancora oggi mito
ogm-chimera

ci salva la donna dei gomitoli
signora del labirinto
con le sette stanze dello stupore
nella sua cavità delle nascite
offrirle un vaso ebbro di miele
un grazie danzato tutti legati a un filo
nel buio dei meandri chiaro s’avvolge
si svolge irresistibile
uno scialle si agita nella danza del ragno

Aracne annoda e snoda la sua tela d’incontri

 

A labyrinth etched in linear B

a labyrinth etched in Linear B 
an internal seal
from the beginning born with us
following us branding us

like the hopscotch squares
we drew on the ground, a life-path
travelled in hops, the intricacy unravelling
we, little Ariadnes careful
not to cross the boundary
while our feet obstinately beat
against the bars of the world
the flights, the bewildered stops

a labyrinth in its sinuous dancing trail
that keeps inverting motion
recalling the dark disorientation
of the defeated bi-form creature
the GMO-chimera
still a myth today

we are saved by the lady with the ball of fleece
mistress of the labyrinth
with the seven rooms of wonder
in her cavity of births
we’d like to offer her a drunken cup of honey
a dance of gratitude all linked by a thread
in the darkness of the meanders a shawl winds
irresistably unwinds
flaps in the spider’s dance

Aracne knots and unknots her web of encounters

* Da Porte/Doors, Edizioni del Leone, Venezia 2002. Il crollo cui si allude avvenne per il cedimento strutturale di un palazzo a Foggia, con numerose vittime, nel novembre del 1999.)

** Da Il versante vero, Fermenti, Roma 1999.

***Da OTHER SIGNS, OTHER CIRCLES, Chelsea Editions, 2009 Serie Poeti Contemporanei Tradotti.

****Cfr. A. Ferramosca, Other Signs Other Circles. Poesie 1990-2009. Introduzione e traduzione a cura di A. Crowe Serrano, Collana Contemporary Italian Poets in Translation, Chelsea Editions, N.Y. 2009.


9. Un’anfora-fanciulla*

 

Tornava dalla bevuta, acceso e solo
Abbracciato al recinto
serenava per ore alla vite
e al mattino giurava che ogni notte
sotto la vite Lei gli si mostrava
(fanciulla odordimosto?
luna caduta? Arianna furibonda?)
selvatica e fiorente
braccia arcuate sui fianchi
intensa lo sogguardava

Capelli grappolo cirri vedo-non ti vedo
avvitandosi come sul tornio
solo per lui ballava una taranta
– ébriola come te giro e poi giro
per te mi discingo bolero spando aromi
per la tua fronte, mio iucundus
bicchierando gli amici ti denudano il cuore
tu abbracciami la vita vitamara
dulcimi pane e vino, pane e vino
tu scioglimi la vita vitangoscia
brindami pace e vino, pace e vino –

Sotto la vite un giorno après-midi
un’anfora trovarono
in forma di fanciulla
Sul manico beata
                             una tarantola in trance

 

 

*Cfr. A. Ferramosca, Other Signs Other Circles. Poesie 1990-2009. Introduzione e traduzione a cura di A. Crowe Serrano, Collana Contemporary Italian Poets in Translation, Chelsea Editions, N.Y. 2009.

 

10. remi per itaca*

E se la trovi povera, Itaca non ti ha illuso.
Sei diventato così aperto e saggio,
che avrai capito cosa vuol dire Itaca.

K. Kavafis

sarmenti dalle viti
in duello con l’aria                             
uno strappo deciso li stacca  -- dente bambino --
deve ac-cadere prima che il legno s’addensi
e animelle sulle biforcazioni  
deboli getti anch’essi da allontanare 
 animule respinte
con rabbia lanciano la loro delusione in terra
strato dopo strato   fino alla vigna-nadir
(all’altro orecchio del mondo
                              tutto sarà compreso)

in questo braccio di appiantica un laerte
versa linfa nei rami   si avverte
lo scroscio sottile    lontani i remi di ulisse
l’angoscia   l’esilio (qui la tortora  ancora
 sul nido a ripetere)

la casa è vicina alla cava di selce
perché sia graffito sul muro
il presagio  vignarinascita  
e sia compreso il tempo
compresi anche noi con il nostro
tozzo di paneolio e il bicchiere d’ebbrezza

la vita così simile a questa
nebbia etilica chiara di voci
il cielo rossoacceso
e in petto un’onda larga

così trascurabile

il prezzo della pace

*Cfr. A. Ferramosca, Ciclica poesie, La Vita Felice, Milano 2014.

11. per quale senso (inedito depositato 2022)

per quale senso fu l'inizio a noi del tutto
per quale futura vita?

eppure sul petto avevamo
conchiglie limpide d'ascolto
a rischiarare il cammino
per deserti e boschi
ma in spalla già faretre pesanti
e pure nel pensiero abbaglianti
luci benigne e pomi di sapienza

soste infinite a dissetarci
sulle anse dei fiumi
a farne pianure fertili
e capanne in cerchio
in sogno il riposo e un'alba sempre nuova
di figli forti e terra benevola di frutti

per quale senso per quale futura vita
abbiamo coltivato abbiamo edificato
se oggi babele ritorna
e un'insania cannibale deflagra
in schegge a grappolo?

per quale senso per quale futura vita
se l'aria è divenuta cenere
e il buio ricopre i corpi e le parole?
con quali canti potremo
fermare il pianto   accogliere le nascite
se sono scomparsi i nidi
e immobili le ali che riparano gl'implumi?

eppure ho un sogno  
un inno del pianeta
catena di voci multilingue
ultimo sussulto a invocare
da terra e cosmo il perdono

verso le galassie lasceremo andare
i nostri semi

smarriti   innocenti
Inserite qui il contenuto del nuovo tag Div

 

12. fame d'aria (Covid 19, 2021)

notte di trasmigrazione    sento
il rumore secco delle crepe nei lobi
intuisco aprirsi la voragine
all’urlorabbia della sirena

emergo dal buio
verso strati di vuoto   miraggi
di vento di sole   finestre cieche
scorre veloce il film della vita
       datemi aria   aria 
 atterrito nella bolla 
che mi ottunde   rimbomba
dolore a schiaffi a spine 

respingo il ricordo di quel rantolo
voglio restare calmo   inspiro ossigeno
ah queste benevole molecole-sorelle  
 – più che sorelle – penso  
forse si ricordano di me quando fluttuavo
graziosa particella nel cosmo

non so se sto sognando   navigo
nel torpore della saturazione
              incrodato
sul fianco ripidissimo del monte
datemi aria   aria  non mi basta  
resisto al panico   mi sollevo   
via dalla croda   saturofelice
divenuto drone   
esploro dall’alto il campo di battaglia

maschere azzurre mi scrutano
voci distorte mi chiamano
entro nel tunnel
                    ineffabile la luce 
 
ritorna scura fame d’aria  
mi rivoltano viso a terra
tocco il ghiaccio artico   gelo
sprofondo   giù   ancora giù
verso la crosta molle del nostro errore
raggiungo il permafrost
che si scioglie e affonda

un giorno  quando rinascerò
vorrò sciogliermi

                   al  calore umano

 

 

13. Kiev

(marzo 2022, rifugio sotterraneo)

aspetto   posso solo aspettare   che altro fare?
vivo nelle pause tra sibili e deflagrazioni
per quanto ancora?
di sopra le macerie deformano  
il viso della città
ormai vedo anche me deforme

qui nel rifugio i bambini non parlano
giocano forse a fare i sordomuti?
solo disegnano   compulsivi
chiedono a gesti anche a me di disegnare
e colorare il luogo che più mi piace nel
mondo di sopra
non so – rispondo – se ancora esiste 
sarà irriconoscibile   così imbrattato di vergogna

la mia mano obbedisce   automatica
sul foglio copre di colore
lo spazio che lei vuole
– vediamo cosa verrà fuori – dico
anch'io curiosatriste

ma cosa stai disegnando?  
cos'è questa scena astratta?
il tuo mondo è capovolto  
hai messo il giallo del sole in basso
forse anche il sole è caduto?
e sotto il giallo non hai messo
il verde del prato   ma
foglie rosse accartocciate o forse
macchie di sangue?  

sopra il giallo   veloce
si autocolora un blu-mare   
senza barche né pesci   uno tsunami
che sommerge la riva
e tutto il foglio intorno si fa blu
corre l'azzurro   con rabbia e gioia
su tutto vince un cielocosmo

compaiono lune
pianeti e meteoriti  
hanno facce iridate ridenti
– ridono di noi? –
perplessi i bimbi chiedono – e poi
nel tuo disegno dove sono
le case le persone? – 

non riesco a vedere né case né persone
ora vi prego   proseguite voi
mettete voi gli umani   solo voi potete
descriverli    mettete tutto quel che volete
il futuro fatelo chiaroallegro e
               sopratutto vivo
vivo come quando cantate in coro
vivo come quando giocate in cortile
o quando correte in gara con il vento

e provo a immaginarvi
futuri nuovi umani con cuori
a dieci valvole di compensazione
sensori antiodio sulla pelle e
recettori sulle circonvoluzioni
capaci di frenare
al minimo movimento d'insania

stranesagge anatomie
chissà se già esistono
lontane anniluce   su altri mondi

 

 

14. a Saffo posso rispondere solo per frammenti*

Afrodite amica al mio fianco
le sue dita ----    tocco
che abbrivida le aree cerebrali ----
che s’immergano pure
nei più nascosti umori nelle cellule
---- soffio estrogenico ----    imbeve
pelle respiro aria che muove
a Gongila l’orlo della veste e sommuove

sottilmente erose da eros
noi ----    potenza-luce che oltrepassa il tempo
canto indelebile ----    sfama le Muse ----   
canto ci sorprende
sull’ultima nota a labbra aperte
gli occhi rovesciati ----    in alto
l’arco di lunartemide intatto

non odio più le rughe che verranno
se tempo e lontananza non ti annullano
va’ pure, arriva lo sposo febbrile     (imeneo)
raccoglierà fiori d’oro     (imeneo)

si abbatte su me la notte
ma in sonno---- 
 ruota una nuova luna----    dormo

sola    ma non sono sola

*Cfr. A. Ferramosca, ANDARE PER SALTI, Edizioni Arcipelago Itaca 2017. Introduzione di Caterina Davinio.

 

 

15. Da Per Segni Accesi*

si fermano i vortici della notte   si compie il tempo
l’humus prende forma imita materia d’alba
la morbida piega dei petali
sul petto approda l’arca   il bosco oscilla
e uno stormire basso   quasi un silenzio
permette all’utero l’ultima spinta
dev’essere pace intorno per il primo grido

così difficile e pure così gioioso
dire di un movimento che prima non c’era
e pure si predisponeva
con l’impercettibile forza del germoglio
un tendere misterioso del seme
verso un cielo che approva   che chiama
il piccolo corpo a muoversi sul ventre
inesorabile verso la tepida scia bianca

pianeta d’aria e luce e fango
dalla notte arcaica risvegliate
memorie d’oceano alghe azzurre
e sulla terra l’alba degli incontri
brusio di passi
scavano i fianchi ai monti
una rete di valichi e sentieri
come una profezia

piega verso settentrione il cammino
un capriccio obliquo della luce
segue la pelle bruna   la scolora
azzurrisce occhi   fa chiari i capelli
larga piove bellezza sulla terra
e ci fa ibridi lungo i meridiani

ibridi siamo e solo per amore
ibridi camminiamo accanto per millenni
lasciando a terra ibridi uccisi
ibridi schiavi ibridi annientati
il senso è oscuro o uno scuro
disegno governa
tutte le cadute le polveri
i lumi le ricostruzioni
(finché il sole irradia si ripetono
incontro disincontro
i segni sulla sabbia   indecifrabili)

cantano i bambini ninnenanne
all’incontrario piccole storie senza finale
lanterne e trottole serene ad ogni giro
giochi ai quattro cantoni del mondo
mentre l’umano s’allontana   muto
alle domande infantili che squillano
perché i fuochi incendiano   i ponti crollano
le parole non parlano   perché?

sulle ginocchia rimarginano
veloci le ferite dei giochi
e si fa festa abbracciando gli alberi
mettendo corone di foglie sulla fronte
e non smette di raccontare storie Sheerazade
per ore e ore
finché tutto non sia compreso
caduto il velo   poi
ci si può addormentare

ma se il cavallo di Troia è un animale favoloso
– mi chiede la bambina –
se è magico e ha capito l’inganno
perché non lo svela ai troiani
perché se ne sta immobile sotto le mura
e non nitrisce forte
d’avere il ventre gonfio di malefici
perché non galoppa verso il mare e s’inabissa?

domanda che mi denuda   mi catapulta
in un tempo bianco dove
il sogno semplicemente s’avvera
dove con le parole   solo con le parole
la ricomposizione
dove accadono cose piccole e buone
                  briciole
che delicatamente la bimba dispone in terra
lungo la fila delle formiche

l’albero-dea Mirra ha partorito all’alba
cade il piccolo Adone dalle guance rosa
sul tappeto di foglie
sorride   non piange

mai piange un mito d’amore
semmai balbetta innamorato
ai morsi di mela
già mi ha conquistato

a lui s’inchina il bosco
divenuto sacro
gonfia in fermento l’humus brillante
schizzano via le cupole alle ghiande

lui audace corre
nel rito di passaggio
splende audace in sudore
corre nel mondo e non ha porto

sempre lo inseguo lo raggiungo lo blocco

sempre lo trovo senza passaporto

*Prefazione di M.G. Calandrone, Giuliano Ladolfi Editore, 2021.

 


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