L'ombra
della sera
La
chiamavano l’ombra della sera
nella
terra di tufo e di metallo
dai
volti isosceli. Un ago dentro il giorno,
una
cruna di vento ad infilare
il
buio custodito nei mattini. Una persiana
calata
sulla luce in verticale
con
la fessura sempre più sottile.
Un
ipogeo del tempo. L’ho sentita
scorrere
in una donna lunga e altera
con
due valigie lievi sul vinile
del
pavimento in metropolitana.
I
suoi fianchi, una clessidra ad otto
bislungo
come in computisteria
dove
scendeva calda, senza notte
la
sabbia ignota di un’isola lontana.
È duro il salto – come questo marmo.
Bisogna flettere il calcagno freddo
alla salita, rendere le suole
alla polvere che si fa più scura
nel passo. Appiattire il respiro
alla pietra. Poi l’ultima stanza –
quell’orecchio di Dionisio svuotato
nel venerdì di Pasqua, dadi immensi
allineati come case a schiera.
Non sarà mai acqua
il fiume – è un rumore la voce
impigliata tra fango e sassi.
Ci siamo messi in fila anche noi –
rocce cave per il tempo che attende
di tagliare i ricordi, di spostarli
via dalla mente in blocco, uno su uno.
E tutto ricomincia a farsi altro.
*Cfr. A. Paganardi,
La pazienza dell’inverno. Prefazione di M. Ercolani,
puntoacapo Editrice, Pasturana (AL) 2013.
Padre di cuori, qui i tuoi tanti mondi –
scavi di porto, cemento e calcare
e quel sorriso che non sa aspettare
che già è volato via con la pietà
d’antico figlio. Hai reso la ferita
un girasole pronto a poca luce
un cuore caldo
di chicchi tropicali e di mangrovie
protese all’acqua di Talete, all’infinito
dei numeri spezzati.
Dopo che il sole ha intiepidito il mare
non avere paura della sera
padre di cuori.
*Cfr. A. Paganardi,
La pazienza dell’inverno. Prefazione di M. Ercolani,
puntoacapo Editrice, Pasturana (AL) 2013.