Monastero di Sanahin*
(Armenia Settentrionale)
La luce sferzante
filtra dal muro
i millenni.
Cristo attraversa,
lo Spirito inebria,
il Padre accoglie.
Nel perdono
mortifico i sensi
e quiete mi inonda
come bonaccia
dopo tempesta.
*Cfr. A. Desideri, Il pudore dei gelsomini. Prefazione di T. Kemeny, Raffaelli Editore, Rimini 2010.
Gn 1-3
Quando il cielo, la luce
le acque, la terra, l’uomo e la donna
furono creati, si impose una voce,
una parola. Tra i fiumi dell’Eden
ogni creatura era perfetta.
Ma venne il tempo della corruzione,
delle doglie, dei fratricidi.
E – dopo millenni – la salvezza
appesa a dura Croce,
mentre l’universo tremava
di paura e sconcerto.
***
Ora tu temi il verbo che esaspera e incanta.
Fuggi da questo paradiso di suoni, fiato, amnesie.
Non rischiare. Cuci la bocca,
sali sul furgone e scappa via.
Se ti fermassi, potrei raccontarti
le miserie, i riscatti.
O magari inventerei per te una fiaba:
pelle d’asino, un principe dai capelli bruniti.
Il suo destino è nascosto nel feriale cammino:
la fatica della confessione – senza fumo, né vino.
Una mano sul tuo viso – io e te,
gli altri che poi spariscono di scena
quando li esautoriamo – la sveglia al mattino.
Tutto quello che vuoi
– te stesso – ritornato capriccioso bambino.
*Cfr. A. Desideri,
Stelle a Merzò (2009). Postfazione di P. Lagazzi. Nota critica di T. Kemeny, Moretti & Vitali Editori, Bergamo 2013, pp. 47-48.
Signore,
abbi pietà delle paure,
dei sogni nefasti,
dei giorni contromano.
Cospargi, con la tua misericordia,
la memoria claudicante,
quel frizzare della mente
nelle ore stanche,
e le gambe – alla Nona –
quando lente, come sulla Luna,
incedono.
Inonda di azzurrina luce
la fede dei giorni oscuri
– l’uno appeso all’altro –
segnati dai volti dei trapassati:
il babbo, uomo primo e unico;
il giovane prete
– fedele custode d’ogni tremore –
che la montagna ha rovinato in pezzi;
la putativa madre, solo femmineo
dell’infanzia affetto.
Infondi saggezza al doppio sposo,
ai figli arroccati nel disadorno futuro,
nel segmentato presente:
calpestano l’ombra
– e la scambiano per un’armatura
non ancora deposta.
Infine, Signore,
sfiorami,
accendimi,
fammi levitare.
Sia cenere il corpo, e l’anima sia
– nunc et usque in aeternum –
tra le tue congiunte mani,
appena in un sorriso – dischiusa.
*Cfr. “Xenia” Anno VII, n. 4, dicembre 2022. (
ndr)