L'effimera compiutezza della rosa*
Nell’iperbole esatta del fiorire
posa il laccio leggero della rosa
forma panica e suono delle sfere
senza tempo dei cieli riversati
sulle gole di latte degli amanti
che contendono ali a uccelli e miglio
e i discendenti vocano alla vita
ineludibilmente.
Ogni equilibrio mima la caduta
ed è la ruga il segno della diga
che erompe silenziosa dalla faglia
di serpe ombrosa e lesta a nozze impure
quando un pallore di bellezza in fuga
cola dalla stanchezza della rosa
ed il dis-astro chiama al mutamento
il cosmos senza tempo.
Essere e non esistere è agguato
dell’anima perenne ed un sigillo
di germinazione sull’amara corteccia
del rabarbaro accende l’elicriso
ma della rosa l’umiltà perfetta
non infetta e lascia al diànto e all’èchide
il compianto e la doglia.
Anima è espiazione dei cuori infausti
al tempo come prole disseminata al vento
e alle filiere della disforìa
se nella rosa dissennatezza è pegno
di armonia se male ogni stagione
impiglia alle sue reti e ai nidi fuga
gli echi delle nenie e dà ai travagli
il uo triste blasone.
Stella stillans se solo rosa rorans
(dov’è l’inizio della dissoluzione?)
Kyrie si levi intorno al nostro nome
sul casto stare della ninfea
altera e sull’eterna aberrazione
che crede il parsec
misurare le stelle.
*Cfr. G.M. Reale,
Poemetti d’Oriente e d’Occidente. Postfazione di M. Ferrari, Edizioni Joker, Novi Ligure (AL) 2006, pp. 10-11.