Non
si tratta di conservare il passato, ma di realizzare le sue speranze
Horkheimer-Adorno,
Dialettica
dell'illuminismo
Recensioni,
note critiche, extravaganze
Redazione
Sergio Audano,
Gianni Caccia,
Maria Grazia Caenaro
Claudio Cazzola,
Lorenzo Fort, Letizia Lanza
Troy ovvero
Achille in Hollywood
di Carlo
Odo Pavese
Scheda
biobibliografica
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La
vera Ilias (aggettivo femminile che significa «di
Ilion»,
cioè di Troia, senza dubbio sottintendendo rhapsodia,
nel
senso di poema epico rapsodico) è un poema piuttosto selettivo:
racconta non tutta la leggenda troiana fino alla presa di Troia, come
volgarmente
si crede, e neanche tutta la vita eroica di Achilleus (it. Achille),
ciò
che sarebbe una Achilleide, ma soltanto un episodio della sua
vita:
la sua «ira perduta» (non «funesta», come
comunemente
si traduce), causata da una contesa con Agamemnon (it. Agamennone) per
una questione d'onore, e le conseguenze di quell'ira (in tutto 51
giorni).
Per raccontare tutta la guerra di Troia i Greci avevano non meno di
cinque
poemi, uno precedente e almeno tre seguenti l'Iliade.
All'inizio
del film Troy si vedono due eserciti l'un contro l'altro
armati:
non sono Achei contro Troiani, ma è Agamennone contro il re di
Tessaglia
(re che fra l'altro, come molto nel film, non esisteva né nel
mito
né nella realtà — ma non importa). Si decide, per
risparmiare
vite umane, di far combattere due campioni: il Tessalo è un
enorme
colosso, l'altro deve essere Achille (Brad Pitt, biondo e protervo), ma
l'eroe non si trova. Lo trovano che dorme in tenda tra le braccia di
una
pupa e lo mandano al fronte. Là con un balzetto improvviso fa un
buco al gigante sulla spalla, Agamennone è contento, e non se ne
parla più.
Si
vedono poi i due fratelli troiani, Ettore e Paride, a Sparta, a
banchetto
con Menelao. Sparta è stranamente su una scogliera a picco sul
mare.
Elena è una bellezza bionda occhicerulea, profilo neoclassico da
cammeo. Paride s'infila nella sua camera, e si capisce che non è
la prima volta, ché i due sono già intimi e l'adulterio
è
stato consumato almeno altre due volte (ma nel mito i due si
congiungono,
come si conviene, in un deserto isolotto soltanto dopo il ratto).
Menelao
ovviamente va su tutte le furie e ricorre a suo fratello Agamennone, re
di Micene, che altro non aspetta per mettere mano su Troia e ampliare
così
il suo potere e i suoi commerci (ma nel mito Agamemnon, che era cognato
di Helene, la corteggiava per suo fratello Menelaos, offrendo il prezzo
più alto, e il padre di lei Tyndareos aveva fatto giurare a
tutti
i pretendenti di muovere tutti insieme contro chiunque l'avesse
eventualmente
rapita, e d'altro canto nella realtà una offesa all'onore era in
quei tempi più potente che qualunque considerazione di potere e
di commerci).
La
storia è semplificata e adattata a palati moderni, poco inclini
a finezze. Il vero Achilleus, cioè quello anticamente narrato
dal
mito, era stato nascosto giovinetto da sua madre Thetis tra le figlie
di
Lykomedes, travestito da fanciulla, per evitare che partisse con gli
altri
eroi per la guerra di Troia, dove era destino che trovasse gloria
imperitura,
ma anche morte prematura. Odysseus, incaricato di scovarlo,
mostrò
alle fanciulle un'armatura, al fascino della quale Achilleus non seppe
resistere e così discoprì la sua eroica natura. Nel
frattempo
tuttavia aveva messo incinta una delle fanciulle, da cui sarebbe nato
Neoptolemos,
che dopo la sua morte avrebbe preso Troia, uccidendo il padre e il
figlio
di Hektor, Priamos e Astyanax, e asservendo la di lui moglie
Andromache.
Ma tutto ciò è sembrato forse troppo desueto o raffinato
per i palati moderni, abituati ad altri sapori. Il film semplifica ogni
trama a tutto vantaggio di una popolare emotività.
Nell'Iliade
Achilleus ha avuto Briseis come parte del bottino e la tiene nella sua
tenda come concubina, Agamemnon deve restituire la sua Chryseis al di
lei
padre, sacerdote di Apollon, per placare il dio, che per vendicare il
suo
sacerdote sta facendo strage di Achei, e perciò il re pretende
in
cambio la concubina di Achilleus. Di qui la contesa e l'ira di
Achilleus,
che si ritira sotto la tenda.
Nel
film i Greci (nell'Iliade notoriamente chiamati in molti modi meno che
Hellenes, o Greci) sbarcano a Troia entrando con le prue sulla spiaggia
come fossero mezzi da sbarco in Normandia (ma nel poema le navi erano
accuratamente
issate e puntellate a riva, ché altrimenti lèvati),
Achille
sbarca per primo (ma nel mito non fu egli il primo, bensì
Protesilaos,
che immediatamente ci rimase), nel tempio di Apollo, subito
conquistato,
fra l'altro taglia la testa dell'aureo simulacro (ma il vero Achilleus,
se pur fu violento, non fu mai però empio), trova la
sacerdotessa
Briseide e tosto se ne innamora, ovviamente non senza stima e
sentimento.
Ma il cattivo Agamennone in qualche modo la cattura e la dà alla
truppa. Come una furia arriva Achille, che la salva da quei bruti, e
adirato
abbandona Agamennone e la guerra.
Paride
e Menelao si affrontano in singolar tenzone e Menelao viene
inopinatamente
ucciso, dove si vede che al moderno il marito cocu non è
simpatico e deve morire (nell'Iliade invece Menelaos supera Paride, che
è salvato da Aphrodite, ma viene poi proditoriamente ferito
dalla
freccia di Pandaros, la tregua è rotta e la guerra riprende). I
Greci tosto attaccano in massa, ma subiscono una disfatta a opera degli
arcieri troiani, quasi fossero la cavalleria francese alla battaglia di
Azincourt (ma nell'Iliade gli arcieri erano soltanto tre, e
meritatamente
famosi). Tornano all'attacco i Mirmidoni con Patroclo vestito con le
armi
di Achille, ma questi tosto, creduto Achille, viene ucciso da Ettore e
riconosciuto soltanto quando egli gli toglie l'elmo. I Troiani
spariscono
tutti in città (niente aristeia di Achilleus e niente
lotta
col fiume Xanthos). Achille furioso si scaglia fino alle mura e tre
volte
urla «Ettore!» (in italiano l'effetto ruggito non riesce,
ma
bisogna forse pensare all'inglese «Hektor!», aspirato e mal
articolato). Dopo un paio di lanci, i due furiosamente vengono ai ferri
corti, Ettore è ferito e finito con la spada (ma nell'Iliade
è
la lancia, come sempre, l'arma fatale, i due prima si rincorrono sotto
le mura, poi Hektor è ingannato da Athene, i due si parlano,
Achilleus
rifiuta mercè, Hektor gli predice a sua volta la morte). Le
armate
sono di massa, come neanche alla battaglia di Platea. Ma gli scontri
erano
allora di pochi armati: combattevano i principi sul carro da guerra,
guidato
dal loro auriga, e intorno a loro una schiera di seguaci, fatta di
alcuni
nobili fedeli e dei loro seguaci. Erano probabilmente gruppi di qualche
decina di guerrieri, un centinaio al più, e ognuno aveva i suoi
fidi. L'offensiva era praticamente soltanto del principe, o campione,
raramente
un seguace attaccava il campione, per lo più la schiera serviva
soltanto ad assisterlo. I principi, essendo i guerrieri più
forti
e meglio armati, duellavano tra di loro oppure si sfogavano a
massacrare
i seguaci dell'altro. Quando un principe cadeva o fuggiva, tutti
fuggivano,
perché non aveva più senso combattere senza vedere il
padrone
e senza essere da lui visti.
Si
vedono i guerrieri baldamente montati a cavallo d'un caval, come si usa
in ogni buon film storico, ma a quei tempi il cavallo montato non
c'era,
fu adottato in battaglia circa quattro secoli dopo; gli eroi per
combattere
e per trasferirsi usavano il carro da guerra, tirato da due cavalli e
guidato
da un auriga. Il tiro a quattro, o quadriga, venne dopo ed era usato
soltanto
per competizione.
Nell'Iliade
non si muove foglia ad alcun livello, né in uccisioni né
in altro, senza che un dio non voglia, ma nel film l'intervento divino
manca completamente. Forse avrebbe potuto essere interessante e
intrattenente,
ma tant'è: il film è ateo, conformemente al gusto
moderno,
razionale e sentimentale insieme. Soltanto all'inizio compare in una
pozza
d'acqua, a esprimere la famosa profezia, invero poco chiaramente, la
madre
di Achille, in aspetto di attempata signora (quello che si direbbe una
«tardona»); ma Thetis era una Nereide, una dea marina,
quindi
eternamente giovane, e come tale non mancava mai di esercitare un certo
fascino su Zeus e di soccorrere il suo figlio mortale (per forza, lo
aveva
generato da Peleus, che era un eroe) nel momento del bisogno.
Col
riscatto di Hektor a opera del vecchio padre, guidato da Hermes, e con
i funerali dell'eroe l'Iliade ha fine. Ma nel film la guerra continua
con
la Iliou persis, o «Presa di Troia». Ulisse,
vedendo
un cavalluccio in mano a un Troiano, ha l'idea del cavallo di legno. Il
cavallo è nello stile nature, o primitivo, con cui sono
fatti
anche i baraccamenti dei Greci (che erano invece normali tende e
padiglioni,
altrimenti non sarebbero gli abitatori sopravvissuti a tanti disagi per
tanti anni) ed è, bisogna pur dire, rozzo assai (ma le molte
rappresentazioni
vascolari antiche mostrano invece un cavallo levigato e ben fatto). I
Greci
si nascondono in una baia, una spia inutilmente li vede e viene steso
(nel
mito invece gli Achei se n'andarono a Tenedos, dove nessuno li vide,
bensì
Laokoon, sulla spiaggia di Troia, divinò l'inganno del cavallo,
ma fu dai serpenti di Poseidon, come si sa, trascinato in mare).
I
Greci, mediante il noto stratagemma, entrano a Troia e la mettono a
ferro
e fuoco. Si vede Achille menare strage, uccidere Priamo (ma nel mito
non
Achilleus, bensì suo figlio Neoptolemos prese Troia e uccise
Priamos
e Astyanax, come sopra detto) e arrivare fino a Elena, a raccoglierne,
se non vado errato, le pensose confessioni. Infine è colpito
dalla
freccia di Paride nel famoso tallone e lo si vede seminudo, nella gran
possa della sua persona, spirare su una specie di grande ara nella
reggia
insanguinata. Ma nel mito Achilleus fu ucciso dalla freccia di Paris,
guidata
dalla mano di Apollon, protettore di Troia, in una battaglia davanti
alle
mura: esigenze di sintesi o piuttosto di effetto hanno semplificato il
racconto.
Ho
letto che per fare questo film è stata chiesta la consulenza di
grandi professori: visto il film — che, intendiamoci, può anche
piacere — si può certamente dire che o i professori consultati
sapevano
poco di poesia e di mitologia greca oppure la loro consulenza è
stata — chissà, forse meritatamente — in tutto e per tutto
disattesa.
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