Emanuele
Narducci, ordinario di
Letteratura Latina all’Università di Firenze, è
dolorosamente e improvvisamente
scomparso lo scorso 17 giugno 2007.
Indubbiamente
di spicco è stata la
personalità di questo studioso per il quale la filologia e la
vita si sono
sempre dialetticamente intrecciate, accostandosi sempre allo studio
dell’antico
e della sua fortuna con passione autenticamente coinvolgente,
inevitabilmente
contagiosa per ogni interlocutore: la sua figura di studioso, dotato di
una
solidissima institutio acquisita
dall’incontro con coloro che riteneva i suoi maestri (in primo luogo il
maestro
diretto all’Università fiorentina, Antonio La Penna, ma anche
Sebastiano
Timpanaro ed Emilio Gabba), risulta di fatto saldamente intrecciata
alla sua
fisionomia umana, che lo portava a ricercare sempre le cause profonde
delle
questioni, a sviscerare a fondo i problemi, spesso rimettendo in
discussione
risultati già acquisiti.
Non
spetta a me definire le
caratteristiche della filologia narducciana né tanto meno
azzardare un profilo
critico della sua vasta produzione scientifica (i suoi interessi
principali
vertevano intorno a Cicerone e a Lucano; a quest’ultimo aveva dedicato
nel 2002
un importante lavoro presso Laterza, Lucano:
un’epica contro l’impero): era fondamentale nel suo metodo di
ricerca il
senso storico, anzi la percezione della storia vera e propria nel suo
dinamico
articolarsi nella società e nelle forme intellettuali e
culturali che egli
sapeva cogliere in tutti i suoi aspetti, in particolare nell’analisi
finissima
delle modalità della comunicazione politica e dei conseguenti
risvolti
ideologici (e, a questo proposito, penso in particolare al volume Cicerone e l’eloquenza romana. Retorica e
progetto culturale, Laterza 1997). La cultura letteraria costituiva
per
Narducci lo strumento principe di questa comunicazione: essendo in
primo luogo
lettore di finissimo gusto, evitò sempre la facile riduzione del
fenomeno
letterario a puro documento storico o manifesto politico, così
come contrastò,
spesso con notevole verve polemica,
l’autoreferenzialità del sistema letterario.
Pur
praticando con estrema abilità
tutti gli strumenti della filologia formale, Narducci rifuggiva dalla
micrologia
fine a se stessa, lamentando, anzi, l’estrema frammentazione della
ricerca e la
sua eccessiva specializzazione; non è un caso, infatti, che
anche i suoi
contributi più brevi aprano sempre prospettive e spunti di
riflessione di più
ampia portata.
Narducci,
di conseguenza, ha sempre
scelto di dedicarsi a temi di ampia portata culturale, che potevano
suscitare
l’interesse di studiosi di discipline diverse, ma ugualmente pronti a
confrontarsi senza pregiudizi intorno al medesimo argomento, ciascuno
apportando
il proprio contributo specifico che, grazie all’abilità di
sintesi che Narducci
sapeva magistralmente realizzare, finiva per armonizzarsi mirabilmente
con gli
altri.
Pertanto
il Narducci filologo e
studioso non delimitava la propria esperienza intellettuale al puro
studio: una
volta chiuso il libro, terminata con estremo scrupolo e attentissima
lettura
ogni forma di ricerca (a iniziare da quella bibliografica che lui
compiva in
modo sistematico e capillare), traeva subito spunto per ideare,
programmare,
cercare di tradurre in azione culturale quello che altrimenti rischiava
di
rimanere inerte materia erudita, ritenendo, invece, opportuno ridestare
concretamente l’interesse vivo e vitale per gli studi di antichistica
al fine
di riportarli all’interno del dibattito intellettuale contemporaneo.
Non
è casuale che abbia sempre
insistito sul termine “antico”, distinto anche concettualmente da
“classico”:
Narducci, proprio in nome della sua sensibilità storica, era
pienamente
consapevole che il termine “classico”correva concretamente il rischio
di
assumere accezioni pericolosamente valutative, tali da giustificare, a
causa
della dimensione di “esemplarità” che si è solitamente
associata a questo
concetto, una presunta superiorità del mondo greco-romano e dei
suoi potenziali
eredi moderni (come del resto già sperimentato in epoca
fascista); al
contrario, il più neutro “antico” evitava a
priori l’unilateralità di una visione puramente positiva,
se non
addirittura encomiastica, della fortuna della civiltà
greco-latina nelle
diverse espressioni intellettuali della cultura moderna. Narducci era
sempre
più convinto del rischio ideologico sotteso a una rivalutazione
acritica delle
presunte “radici classiche” della cultura occidentale, di cui, al
contrario,
riteneva opportuno mettere in luce anche gli aspetti più
contraddittori o
ambigui, se non addirittura consapevolmente mistificati.
Da
questi pochi riferimenti emerge,
quindi, il profilo di uno studioso capace di una visione organica e
originale
della cultura latina, ma anche generosamente impegnato ad offrire ampia
divulgazione dei risultati della ricerca scientifica attraverso
strumenti che
potessero raggiungere un più ampio pubblico, a iniziare dai
docenti della
scuola secondaria: su questo punto Narducci, sull’esempio del suo
maestro La
Penna, ha sempre seguito con attenzione, il più delle volte con
preoccupazione,
i mutamenti che hanno attraversato nell’ultimo ventennio la scuola e
l’università. Se da un lato, in coerenza col suo atteggiamento
culturale, era
fortemente contrario a un ritorno indiscriminato del latino in ogni
ordine di
studi (una posizione in cui ravvisava esclusivamente irreale
fanatismo),
dall’altro Narducci guardava con preoccupazione al costante
depauperamento dei
contenuti disciplinari, allo svilimento del ruolo dei docenti, troppo
spesso
assorbiti da inutile burocrazia e vilipesi da stipendi indegni di un
paese
civile, all’ingresso del “mercato”, e quindi delle logiche produttive
ed
economiche, nelle istituzioni scolastiche e culturali, col pesantissimo
rischio
di intervento sui processi formativi e sulla loro libertà e
autonomia.
Negli
anni Novanta la diffusione crescente degli strumenti informatici spinse
Narducci, lucidamente contrario a ogni pregiudizio misoneistico, a
confrontarsi
anche con queste nuove metodologie comunicative: è un incontro
molto felice che
darà in breve dei frutti cospicui, soprattutto il Notiziario
di Antichistica, il bollettino che ogni quindici giorni
Narducci ha diffuso, per circa un decennio, a un bacino di utenti
sempre più
cospicuo (docenti universitari e liceali, cultori degli studi, semplici
appassionati, spesso anche fuori Italia), contenente notizie relative
agli
studi di Antichistica, si trattasse di un Convegno o della
pubblicazione di un
libro significativo o di un progetto di alto spessore scientifico,
consentendo in questo modo una più rapida e agile diffusione dei
principali
risultati della ricerca anche presso un pubblico più ampio.
L’ultimo
decennio ha visto Narducci
sempre più coinvolto all’interno di numerose iniziative, talora
ideate da lui
stesso o a cui ha fornito un contributo di idee decisivo per la loro
realizzazione; il ruolo, oramai unanimemente riconosciuto, di
interprete tra i
più significativi di Cicerone gli permise di diventare
responsabile
scientifico, a partire dal 2000, del Symposium
Ciceronianum Arpinas; sempre nel 2000, grazie all’impulso generoso
del
papirologo Rosario Pintaudi, nacque a Firenze l’Accademia
Fiorentina di Papirologia e di Studi sul Mondo antico, di
cui Narducci divenne Consigliere, subito favorendo, all’interno di
questa
istituzione, la nascita del seminario di Filologia e Letteratura Latina.
Gli
ultimi anni vedono entrare un
nuovo fronte di interesse all’interno della produzione scientifica di
Narducci:
si tratta della fortuna dell’Antico, che già aveva fortemente
attirato la sua
attenzione, ma non in maniera pienamente sistematica.
Narducci,
a differenza di tanti
filologi, era un attentissimo osservatore della realtà
contemporanea, in
particolare quella politica e culturale: la lettura mattutina dei
quotidiani,
l’ascolto di più telegiornali nel corso della giornata, la
consultazione
frequente dei siti web di news di cronaca lo spingevano a formulare
ampie
riflessioni e considerazioni sul presente, a cogliere analogie e
differenze con
l’antichità, a lanciare spesso pessimistiche previsioni sul
futuro.
Nello
studio del Fortleben vedeva un ulteriore, concreta
possibilità di rinvigorimento
degli studi umanistici, di una loro definita collocazione nel dibattito
culturale contemporaneo, della loro utilità per un approccio
storico
all’analisi della genesi di numerose problematiche del mondo politico;
in
questo spirito e con questi obiettivi, che escludevano ogni concessione
a mode
o tendenze, Narducci, grazie all’appoggio logistico e materiale offerto
dalla
Fondazione Mediaterraneo di Sestri Levante, e alla collaborazione di
numerose
istituzioni culturali (come l’Accademia Fiorentina di Papirologia, il
Centro
Warburg Italia, le Delegazioni AICC di Chiavari e di Firenze e altre
ancora),
di alcuni Dipartimenti universitari (Foggia, Pavia, Siena) e di
affermate e
prestigiose case editrici (Laterza, Rizzoli, Le Monnier, ETS),
fondò nel 2004
il Centro di Studi sulla Fortuna dell'Antico, di cui divenne
coordinatore.
Da
allora, ogni anno, il Centro, nel
mese di marzo, ha promosso una Giornata di Studi su temi vari, di
diverse
discipline, ma sempre accomunati dalla tematica della fortuna: il
successo di
questa formula stupì lo stesso Narducci che trovò una
ragione in più per
dedicarsi con accresciuto fervore a questa iniziativa, i cui risultati
apparivano ogni anno, con meticolosa puntualità, in un volume di
Atti da lui personalmente curati,
anche
nei minimi dettagli (pubblicati dall’Editore ETS di Pisa).
La
morte, dolorosa e improvvisa, ha
definitivamente strappato Narducci all’organizzazione della prossima
Giornata,
già fissata per il 7 marzo 2008, ed ha privato la sua amatissima
famiglia,
tutti i suoi amici, colleghi e collaboratori della sua straordinaria
passione,
della sua immensa dottrina, della sua intelligente capacità
organizzatrice, del
suo senso pieno e leale dell’amicizia.