Madonne che
piangono, pezzi di
pietra da cui
spilla sangue, oggetti comuni di colpo circondati da un’aura di mistero.
Le
lacrimazioni misteriose (e fenomeni analoghi o assimilabili) occupano,
a
periodi ciclici ma con straordinaria frequenza, spazi di tutti i
giornali.
Stupisce,
in questo contesto, il coinvolgimento soltanto parziale (e spesso
strumentale e superficiale) di dati che possono aiutare a capire,
inquadrare, spiegare. O anche, più semplicemente, ad informare
in modo corretto.
Si
preferisce puntare più sul magico, sul misterioso (che aiuta a
vendere) che sullo studio scientifico del fenomeno.
Anche
chi parla semplicemente di ciarlataneria e di imbroglio spesso non
compie una operazione corretta. Liquidare in questo modo il fenomeno
è davvero
utile?
Sia
chiaro: di ciarlataneria e imbroglio si tratta, talora anche con
l’aiuto (in
buona fede magari?) di qualche illustre prelato che funge da avallo,
serve
a garantire e ad attirare frotte di fedeli. Il che pone il problema
nella
sua vera dimensione: dove finisce la fede e dove inizia la
superstizione?
In
termini psicologici: quanto funziona il “voler vedere”, il “voler
essere convinti”?
Come viene sfruttato da imbroglioni a tutti i livelli questa voglia
implicita
in ognuno di voler essere convinti?
Ecco
perché serve anche una analisi storicoculturale del fenomeno.
Credo di poter portare un piccolo tassello di analisi.
In
questa logica, nasce dai miei studi sul grande storico padovano Tito
Livio un contributo da cui risulta inconfutabile l'esistenza delle
lacrimazioni (perfino sanguinolente) anche in aree culturali non
cristiane.
Il
grande storico latino ha raccontato le vicende di Roma dalle origini ai
suoi
tempi (che sono quelli del primo imperatore, Ottaviano Augusto): della
sua
opera a noi sono rimasti soltanto 35 libri, che molto spesso dedicano
interi
capitoli a eventi inspiegabili e misteriosi, quelli che egli chiama prodigia.
(Serve
tuttavia precisare che Tito Livio, spesso e volentieri prende distanza
da
alcune dicerie, con mentalità che potremmo definire positivista).
Le
citazioni utili al nostro discorso sono, nell'arco dei 35 libri, ben 19.
Se
ne ricava un quadro abbastanza univoco: nei momenti difficili, quando
smarrimento davanti al futuro, paura, apprensione, angoscia
aggrediscono la gente, ogni
cosa si mette a grondare sangue.
Illuminante
(addirittura una chiave di lettura complessiva) la prima occorrenza
(XXIII, 31): a Lanuvio (antichissima città laziale, sulla via
Appia, a una trentina di chilometri da Roma) la statua di Giunone si
mette a trasudare sangue.
A
Lanuvio Giunone viene adorata con l'appellativo di Sospita che
vale liberatrice, salvatrice adombrando senza alcun dubbio la
figura
della Mater Dei cristiana.
Siamo
nel 216 a. C.: Annibale ha appena vinto a Canne la battaglia che gli
spalanca la strada verso l'Urbe. In quella battaglia Roma ha riversato
quasi ogni sua
residua risorsa e ora si trova senza difese, in balia del vincitore. Il
potere
di Roma sembra giunto al suo tramonto e a Lanuvio la statua di Giunone
piange
sangue.
Il
contesto è da apocalisse: mare arsit eo anno, ad Sinuessam
bos eculeum
peperit. Tra mari che si mettono a ribollire e vacche che generano
puledri,
ecco che signa Lanuvi ad Iunonis Sospitae cruore manavere
lapidibusque circa id templum pluit, ob quem imbrem novendiale, ut
adsolet, sacrum fuit. Giunone piange sangue (alcune statue del
tempio, addirittura), piovono pietre
e i preti organizzano una novena. Già sentito, no?
In
tempi recenti la pioggia di pietre è stata sostituita da blocchi
di
ghiaccio che piovono dal cielo.
Qualche
mese dopo (sempre in piena crisi politica e militare) a Mantova si vede
sangue
imporporare le acque del Mincio mentre a Roma il sangue cade, dal
cielo,
nel foro Boario (XXIV, 10) mentre ad Amiterno (la città della
Sabina
che ha dato i natali a Sallustio) sono le acque dell'Aterno a diventare
misteriosamente
cruente (XXIV, 44).
La
prima delle due occorrenze: Mantuae stagnum effusum Mincio amni
cruentum visum.
Ma
ancor più illuminante è il contesto. Faccio seguire il
(curioso, ma anche pignolo) elenco dei prodigia, perché
esso rappresenta il perfetto campionario di una sfilza di superstizioni
mille volte già visitata e conosciuta.
1) A Lanuvio, presso il tempio di
Giunone Sospita
(sì,
sempre lì) uno sciame di corvi fa il suo nido;
2) In Apulia brucia una palma verde;
3) A Cales piove creta;
4) A Roma, nel foro Boario, piove
sangue;
5) Nel quartiere Insteio sgorga dal
sottosuolo una
sorgente
di tale forza ed impeto che trascina via pietre e botti;
6) Fulmini colpiscono l’atrio del
Campidoglio, il
tempio
di Vulcano nel Campo Marzio, una rocca, una pubblica via nella Sabina,
un
muro e una porta a Gabi;
7) A Preneste l’asta di Marte si
muove senza che
nessuno
la tocchi;
8) In Sicilia un bue parla;
9) Nel territorio dei Marrucini un
bambino parla
ancora
nel grembo materno, usando una espressione gergale;
10) A Spoleto una donna diventa
uomo;
11) Ad Adria appare nel cielo un
altare attorno al
quale
si muovono fantasmi con fattezze umane e in vesti candide;
12) A Roma appare uno sciame d’api
nel foro;
13) Sempre a Roma qualcuno dice di
aver visto
legioni
armate sul Gianicolo (ma chi è del posto dice che ci sono i
soliti,
ben noti contadini intenti ai loro lavori).
Insomma
di tutto, di più.
È
fin troppo facile notare che alcune cose potrebbero apparire ad una
mente tranquilla e non offuscata, fenomeni assolutamente normali e
spiegabili o,
magari, una coincidenza. Ma se si “vuol vedere”, se si vuol attribuire
un
significato soprannaturale a tutto…
La
seconda occorrenza: flumen Amiterni cruentum fluisse.
Anche
qui nel contesto appena esplorato di fulmini e baccano di armati. Con
una variante: a Terracina, sul fiume (si tratta dell’Aterno che prende,
verso la foce, il nome di Pescara), appaiono fantasmi di navi.
Annibale
continua a vincere, in particolare nei dintorni di Taranto: Livio
puntualmente riferisce che a Rieti è addirittura il sole a farsi
di sangue (XXV, 7). E quando il condottiero cartaginese arriva a tre
miglia da Roma e la fine
della città è ormai imminente, da Suberte, una cittadina
dell'Etruria,
arriva -infausto presagio- la notizia che nel foro si sono visti
scorrere
ruscelli di sangue (XXVI, 23). Poi, non si sa bene perché,
Annibale
fa marcia indietro. Tuttavia non smette di raccogliere successi: a
Capena,
una cittadina etrusca ai piedi del Soratte, in un luogo consacrato a
Feronia,
la divinità che da quelle parti aveva un tempio (distrutto
proprio
in seguito alle vicende belliche), sono ben quattro le statue che
grondano
copiosamente sangue giorno e notte (XXVII, 4).
In
questo contesto di ansia e di incertezza il sangue appare un po'
ovunque: i torrenti che scaturiscono dal monte Albano, a Sud di Roma,
si tingono di
sangue (XXVII, 11) e anche a Volsinii (l'attuale Bolsena) il
lago
esibisce lo stesso fenomeno (XXVII, 23). A Minturno, una città
tra
Lazio e Campania sul fiume Liri, gli abitanti del posto riferiscono che
un
rigagnolo di sangue era stato visto scorrere sulla porta della
città (XXVII, 37).
Quando
poi la seconda guerra punica sembra inclinare dalla parte di Roma, un
funestissimo presagio si abbatte sulla città: si spegne il sacro
fuoco della dea
Vesta. Puntualmente da Anzio arriva la notizia che i contadini, mentre
stavano
mietendo il grano, hanno visto spighe sanguinolente e, nella stessa
Roma,
nel circo Flaminio, l'altare di Nettuno esibisce una violentissima
esudorazione
(XXVIII, 11).
Annibale
è sconfitto, alla fine. Ripara però presso il re Antioco
dove
cerca di organizzare una nuova guerra contro Roma: e a Roma, un po' in
ogni
luogo, nel foro, nel luogo dei comizi, perfino sul Campidoglio,
appaiono
gocce di sangue (XXXIV, 45).
Gli
esempi sono comunque copiosissimi anche fuori delle vicende
annibaliche.
Straordinario
(e tragico) il libro XXXIX in cui si racconta come nello stesso anno
(183 a. C.) muoiano i tre grandi della storia recente: Annibale, Publio
Cornelio Scipione Africano e Filopemene, il valoroso capo della lega
Achea. È anche il periodo in cui Roma viene sconvolta dalla
diffusione dei Baccanali, il sacrilego culto orgiastico che mina le
basi non solo morali ed etiche, ma anche civili e politiche della res
pubblica romana: per ben due volte (capitoli 46 e 56) a Roma si
assiste proprio nei pressi del Campidoglio ad una piogga di sangue: in
entrambi i casi la pioggia cruenta dura per due
giorni.
Quando
per Roma sorge una nuova minaccia (a partire dall'anno 182 a. C. circa:
Demetrio,
il figlio di Filippo V di Macedonia, che era di sentimenti filoromani
viene
ucciso dal fratello Perseo il quale diventerà acerrimo nemico di
Roma)
nell'Urbe piove ancora sangue e, sempre Lanuvio, la statua di Giunone Sospita
si mette a piangere (XL, 19).
Riscontri
molto interessanti anche da Saturnia, la cittadella che si trova a Nord
di
Vulci e che diventa colonia romana nel 183 a. C.: qui piove sangue per
tre
giorni (XLII, 20). A Cuma, sulla zona litoranea campana, la statua di
Apollo,
sita proprio nella rocca della città, piange per tre giorni e
per
tre notti (XLIII, 13).
L'emblematica
citazione di chiusura viene proprio dal libro XLV, che è
l'ultimo tra
quelli giunti ai moderni: vi si racconta (XLV, 16) che a Calatia,
una
cittadina sull'Appia tra Caserta e Maddaloni, un privato, tale Marco
Valerio,
riferiva che dal suo focolare era sgorgato sangue per tre giorni e due
notti.
Senza mai fermarsi.
17
giugno 2003