Senecio
     SENECIO

Direttore
Emilio Piccolo


Non si tratta di conservare il passato, ma di realizzare le sue speranze
Horkheimer-Adorno, Dialettica dell'illuminismo

Rivisitazioni, traduzioni, manipolazioni



Redazione
Sergio Audano, Gianni Caccia, Maria Grazia Caenaro
Claudio Cazzola, Lorenzo Fort, Letizia Lanza

Gian Domenico Mazzocato
Scheda biobibliografica

1. Ulisseide (dall'Etruria al Montello)
2. Percorsi antichi
3. 14 Febbraio
4. Il prodigio

 


1. Ulisseide (dall’Etruria al Montello)

Ulisse
(per il suo viaggio)

onda di luce, marea del tempo
ulisse cieco dorme nella sentina
e tuttavia sogna
ha vele e prue 
chiglie affilate nel cuore
corre e naviga e conosce
sorride alla polena
acqua che si muove/che muove
mulino dei secoli, mola della vita
macina del dolore
sabbia di clessidra, vita stretta nel pugno
orizzonte vicino
chi narrerà agli altri
la vita che si apre oltre la soglia del risveglio
o un palmo più in là, soltanto
chi dirà il primo passo di ogni giorno
E tuttavia sono

lampo degli occhi

acqua solare nel cerchio fondo del pozzo
attimo della culminazione
meridiana dell’anima
bussola degli eventi
mormorio lontano
chi dirà la sete e l’attingere
E tuttavia sono
 

Ruvido

Statua di sale, nel volgere della vita
qui scorre in largo fiume
nei vortici di memoria, tra ripe scoscese
non dovevo, forse, girare il capo
l’addio era già dato e detto
immobile tra le acacie mosse dal vento
ruga di pietra
primavera, un fossato, gli spini del tronco
stagione sbiadita dal tramonto
il profumo di fiori appassiti
resta la foto 
biancoenero, ruvido antico al tatto
di noi che sorridiamo

e non sapevamo degli agguati


Percorsi antichi
Nota

 

Iter
 
qui, dove la vita curva
violenta o sale la marea
 
schiumosa
il buio ha grumi  più densi.
 
Luce obliqua incide
le rughe del passato
tuo e mio, intersecato
 
aggrovigliato
 
  Rileggendo Saffo, la divina
(A Gianni Giolo)
 

Se navigare sia solo
o anche
andare lungo le vie del mare
verso Ilio
 
questo vorrei conoscere,
glucuprico amico,
tra i relitti affioranti
 
nel tiaso dei ricordi
quando la memoria è vela
 
e fragile schiuma errante e meta raggiunta
 
o meta fuggevole. Che è
sempre la scia di noi,
l'esile solco del nostro transito
 
confuso ad altre tracce
 
 
Per il viaggio di un’amica
 
onda di luce, marea del tempo
ulisse opaco che dorme nella sentina
e tuttavia sogna
ha vele e prue e chiglie affilate nel cuore
corre e naviga e conosce
sorride alla polena
acqua che si muove/che muove
mulino dei secoli, mola della vita
macina del dolore
sabbia di clessidra, vita stretta nel pugno
orizzonte vicino
 
chi narrerà agli altri
la vita che si apre oltre la soglia del risveglio
o un palmo più in là, soltanto
 
chi dirà il primo passo di ogni giorno
 
E tuttavia sono
 
lampo degli occhi
acqua solare nel cerchio fondo del pozzo
attimo della culminazione
meridiana dell’anima
bussola degli eventi
mormorio lontano
 
chi dirà la sete e l’attingere
 
E tuttavia sono
             
I brani di Percorsi antichi sono tratti da G.D. Mazzocato, Dalla selva delle esili memorie, DBS Edizioni, Feltre 2008. Nella sua poesia, scrive Giorgio Bárberi Squarotti, «è il senso di una parola che viene fuori superando barriere enormi di silenzio, come dal fondo dei secoli». Tempo, memorie domestiche, spazio, paure del quotidiano sono l’impasto di questa poesia “dura, aspra, irta come per una fatica del dire”. Mazzocato raccoglie nella sua selva popolata da esili memorie (fantasmi e corpi vivi ad un tempo) i versi scritti negli ultimi anni. Dopo Il fuoco vecchio e Straniarsi è qui (va ricordata anche la partecipazione assieme ad altri tre poeti a Diapason con variazioni) è questa la sua terza silloge. Poesia impressionistica, poesia della memoria. Lo scrittore, che in questi anni si è dedicato soprattutto a narrare la civiltà della sua terra fondando quella che Fulvio Tomizza ha chiamato “la saga dei vinti veneti”, continua a raccontare qui, con coerenza alle sue scelte culturali e valoriali, il perenne straniamento del poeta rispetto ad una quotidianità ostile e indecifrabile. È la difficoltà a individuare il correre di un segno provvidenziale, a riconoscersi un ruolo nella storia. È l’orrore per il male che la abita, è il silenzio del divino. Che può dire e dirsi il poeta? Che può fare? Nulla, se non tracciare un percorso di risalita alla memoria, ai valori da cui viene. Solo una testimonianza, sofferta. Il critico Mario Cutuli ha scritto di questa silloge: «La poesia di Gian Domenico Mazzocato non parla. Evoca. Non insegna. Suggerisce. Non propone. Ricerca. Attinge da un mondo lontano. Arcano eppur reale. Remoto eppur vicino. Intimo. Profondo. Dove alloggiano nomi e volti che la polvere non ha mai coperto, che il tempo non ha mai cancellato. Che ha custodito. Geloso. Dove “umanità lacerata pesa sempre anche nel ricordo”. Dove “rotola da lontano questa sincroniadiacronia di diaspora nascosta e quotidiana”. Dove vivono passioni sopite». La silloge ha già raccolto alcuni autorevoli consensi come quelli del poeta Loretto Rafanelli e del paroliere storico di Fabrizio De André, Massimo Bubola. L’autore ha ceduto tutti i diritti dell’opera all’ADVAR, la onlus che si occupa a Treviso dei malati terminali.

 

3. 14 Febbraio

Tienimi una mano sul cuore, amore.
Come vuoi tu. Aperta
che io possa vedere
l’eterna linea della vita.
O chiudi il pugno
a trattenere il tempo che ci è dato.

E regaliamoci la luce del sorriso,
se Ombretta mi cammina tra dita e tastiera.
Miagola e ci guarda
da misteriosi occhi e alieni.
Forse ha fame. È più facile però
che non le piaccia come traduco Fedro.


 

4. Il prodigio

La notte più luminosa di ogni altra,
una cometa forse, forse
l’esplosione di lontani universi
o arcana congiunzione astrale.
Gli uomini dell’imperatore
in corsa affannata per contare le genti
dell’immenso territorio di Roma.
E da deserti remoti
riga lunga di cammelli e beduini.
Seguivano i Maghi,
ricchi e devoti sacerdoti di Zaradhust.
Il prodigio, tuttavia,
fu una grotta
e Miriam, mamma bambina,
e Yosef, padre disperato.
Ogni porta, ogni cuore
avevano trovato chiusi.

 


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