Senecio
     SENECIO
Fondatore
Emilio Piccolo

Direttore
Andrea Piccolo e Lorenzo Fort



Non si tratta di conservare il passato, ma di realizzare le sue speranze
Horkheimer-Adorno, Dialettica dell'illuminismo

Rivisitazioni, traduzioni, manipolazioni



Redazione
Gianni Caccia, Maria Grazia Caenaro, Claudio Cazzola
Letizia Lanza, Vincenzo Ruggiero Perrino, Andrea Scotto


Titos Patrikios
Scheda biobibliografica

Ellenika I*

Storia di Edipo

Volle sciogliere gli enigmi
illuminare l’oscurità
nella quale tutti si sistemano
per quanto sia pesante.
Non lo spaventarono le cose che vide
ma il rifiuto degli altri di accettarle.
Sarebbe stato sempre l’eccezione?
Non sopportava più la solitudine.
E per trovare i suoi vicini
s’infilò profonde negli occhi
le due forcine.
E distingueva ancora con il tatto
le cose che nessuno voleva vedere.


Città della Grecia meridionale

Questa città mi ha rovinato, come un tempo
poteva rovinarmi una città,
con le sue caserme, le fabbriche deserte
i muri neri coi cocci aguzzi di bottiglia
le sue stradine anguste, secca, senz’alberi
con le sue donne salmastre, brune
agili, fluenti, gli occhi di carbone
e la pelle olivastra, appena un po’ sudate
quel che ci vuole per un rapido amore di passaggio
su spiagge oscure mezzo abbandonate
piene di sassi, ruggine, catrame, spine.
Questa città mi guarisce con le sue notti
notti del mio Paese che non cambiano.

La caverna

Ho passato anch’io anni della mia vita
legato dentro una caverna oscura
convinto che le ombre sulle pareti
fossero il presente che cambiava.

Tessere di mosaico

Quei Greci che viaggiavano
non per tornare presto o tardi
ai loro paesi, vecchi rispettati e ricchi,
ma per morire in luoghi lontani
quasi che amplificando lo spazio
avrebbero prolungato il loro tempo.
Ma a un certo punto cessano i rinvii
scadono i termini.
E noi qui, un’isola aperta
residuo di un’Atlantide perduta
che ogni giorno corrode il mare.
Come siamo sopravvissuti? Grazie all’amore,
alla nostra saggezza o alla fortuna?
Nel frattempo, in qualche lontano scavo
emergono parole in forma di mosaico
come le pronunciavano quelli
thalassa, charis, eros, sofrosyne, tyche,
e in un angolo i nomi degli artisti,
composte con le stesse tessere, in greco
assieme ai nomi di altri luoghi
Kyriakos, Anastasio di Domiziano, Thomàs,
Elias, Naúm, Silanòs, Salamaínos.

 

 


 

Ellenika II

Mezzogiorno alla stazione di Paestum
 

Come i templi greci in terra straniera
si sono appesantiti e ingrossati
così Poseidonia è diventata Paestum.
Però la pietra è bella, rosa
ben conservata, colonne in doppia fila
che di fianco sembrano una foresta,
i tre templi e nient’altro.
Anche qui vissero un tempo Greci
dalla ricchezza facile, il lusso, il piacere,
 sicuri che ce l’avrebbero sempre fatta.
La sventura si abbatté prima dai monti
da cui scesero i Lucani a sgominarli.
Una volta di più gli uomini di mare
furono sconfitti dagli uomini di terra,
e gli altri Greci a festeggiare
la distruzione di una città greca.
A salvarli poi vennero i Romani
cambiarono loro la lingua materna
e li trasformarono in Romani.
Finché infine li fece a pezzi la malaria –
quelli scampati partirono
come fossero anch’essi turisti di passaggio.

 

L'usurpazione delle statue

Modelliamo statue con materiali
di statue già modellate
da altri artisti più antichi,
scriviamo poesie con parole
di poesie scritte
da altri poeti in altri tempi,
costruiamo vite
con il sentimento e il vissuto
di altri uomini prima di noi.
Usurpiamo opere, modifichiamo
piani, cambiamo prospettive,
inventiamo qualcosa di nuovo
facciamo cose completamente nostre
lasciando sempre le tracce
di origini più antiche.
Continuiamo scrivendo il nostro nome
vicino ad altri nomi, perfino
a quelli che vorremmo cancellare.

 

Le due statue

La poesia, parlando della vita,

l’avvolgeva con parole, la legava,
voleva immobilizzarla come una statua
per secoli infiniti
nella sua metrica.
 
La vita, ascoltando la poesia,
l’avvolgeva con sabbia fosforescente,
la pietrificava, le spezzava le membra,
fino a trasformarla in una statua mobile
nel tempo.

Ellenika III

I simulacri e le cose

Non ci aspettavamo che accadesse di nuovo
eppure è di nuovo nero come la pece il cielo,
partorisce mostri di oscurità la notte,
spauracchi del sonno e della veglia
ostruiscono il passaggio, minacciano, chiedono riscatti.
Non temere Lestrigoni e Ciclopi ...
non temere, diceva il poeta,
ma io temo i loro odierni simulacri
e soprattutto quelli che li muovono.

Temo quanti si arruolano per salvarci
da un inferno che aspetta solo noi,
quanti predicano una vita corretta e salutare
con l’alimentazione forzata del pentimento,
quanti ci liberano dall’ansia della morte
con prestiti a vita di anima e di corpo,
quanti ci rinvigoriscono con stimolanti antropovori
con elisir di giovinezza geneticamente modificata.

Come una goccia di vetriolo brucia l’occhio
così una fialetta di malvagità
può avvelenare innumerevoli vite,
“inesauribili le forze del male nell’uomo”
predicano da mille parti gli oratori,
solo che i detentori della verità assoluta
scoprono sempre negli altri il male.
“Ma la poesia cosa fa, cosa fanno i poeti”
gridano quelli che cercano il consenso
su ciò che hanno pensato e deciso,
e vogliono che ancora oggi i poeti
siano giullari, profeti o cortigiani.

Ma i poeti, nonostante la loro boria
o il loro sottomettersi ai potenti,
il narcisismo o l’adorazione di molti,
nonostante il loro stile ellittico o verboso,
a un certo punto scelgono, denunciano, sperano,
chiedono, come nell’istante cruciale
chiese l’altro poeta: più luce.
E la poesia non riadatta al presente
la stessa opera rappresentata da anni,
non salmeggia istruzioni sull’uso del bene,
non risuscita i cani morti della metafisica.
Passando in rassegna le cose già accadute
la poesia cerca risposte

a domande non ancora fatte.

 

Mòlivos, I

Da anni lo stesso paesaggio
le case di pietra
la fortezza, le stradine,
gli ulivi, il litorale.
Lo stesso paesaggio
con cambiamenti minimi
che vedevano Alceo, Saffo,
Orione, Longo Sofista.
Lo stesso paesaggio
dove giunsi anch’io
con le navi ateniesi
dall’altra sponda.
Di fronte Troia,
Asso, l’Asia
il mondo, finché io lo vedo,
grande, tremendo, bello.

 

Mòlivos, II

Guardo dalla mia finestra
il melograno.
In fondo il mare
più azzurro che mai
le foglie verdi incise
più profondamente nell’azzurro,
le melagrane oggi
più rosse di ieri.
Guardo com’è cresciuto il melograno
che ho piantato dieci anni fa,
guardo le melagrane
moltiplicate quest’anno,
guardo il mare là in fondo
e torno alle mie carte.


Ellenika IV


La Porta dei Leoni

I leoni erano scomparsi da tempo
non se ne trovava uno in tutta la Grecia
o forse uno soltanto, braccato
si era nascosto da qualche parte nel Peloponneso,
non minacciava più nessuno
finché Eracle uccise anche quello.
Tuttavia il ricordo dei leoni
non smise mai di incutere timore:
spaventava la loro immagine
sugli scudi e gli stemmi,
spaventava il loro emblema
sui monumenti delle battaglie,
spaventava il loro bassorilievo
sull’architrave di pietra della porta.
Spaventa sempre il nostro grave passato,
spaventa il racconto degli eventi
nella scritta incisa sull’architrave
della porta che attraversiamo tutti i giorni.

Storia del labirinto

Dopo che Teseo uccise il Minotauro
il labirinto fu abbandonato, le guardie licenziate,
col tempo crollò il soffitto
vennero alla luce i corridoi orrendi
le sale di tortura, quelle dell’antropofagia,
le gallerie con le invenzioni nascoste
e i tesori sepolti,
rovinate le mura, rimasero solo le impronte
di complesse incisioni sulla terra.
Ma simulazioni di labirinti, costruzioni oscure,
continuarono a essere fatte con nuovi materiali,
con nuovi mostri, vittime, eroi, sovrani.
Si fanno soprattutto labirinti di parole,
ogni anno vi entrano nuove infornate,
ragazzi e ragazze, con timore e noncuranza
per botole e tranelli, vicoli ciechi,
con l’ambizione di riformare e di rappresentare
l’antico dramma riadattato ai nuovi eventi,
dando ai ruoli principali gli stessi nomi:
Minosse, Pasifae, Minotauro, Arianna,
Dedalo, Icaro, Teseo.


 

Ellenika V


I trucchi di Odisseo
(a Dimistris Maronitis)

Odisseo conosceva il sofisma
ben prima di Zenone,
sapeva che non si può ridurre in frazioni il tempo,
che Achille vince la tartaruga nella corsa.
Per ingannarlo, da quel furbo ch’era,
mise innumerevoli tartarughe in fila
così che ce n’era sempre una davanti
al pie’ veloce eroe.
Odisseo apprese anche con la guerra
che il corso del tempo non s’inverte,
ma dopo il suo ritorno sperimentò di nuovo
alcuni trucchi per tornare com’era
invincibile amante e sposo innamorato,
venerato sovrano e viaggiatore solitario.
Finché lo ammise pubblicamente:
il tempo può far accumulare denaro,
spalancare avventure, ridurre l’ignoto,
ma nulla di tutto ciò riporta indietro
il tempo trascorso che ha generato quelle cose.
Invecchiando Odisseo si rese conto
che tutto quello che aveva visto e vissuto
bastava agli altri, non a lui.
Nonostante i tonificanti, le erbe di lunga vita,
sempre più a fatica riusciva a escogitare
nuovi rimedi per poter soddisfare
i suoi desideri insaziabili.

Il viaggio di Telemaco

Quando si aprì al mondo, Telemaco
uscendo dal suo piccolo e sicuro entourage
naturalmente incontrò i soliti sospetti,
i Ciclopi aggiornati, i Lestrigoni,
ma s’imbatté anche in altri tipi strani,
Ciconi e Lotofagi con minime varianti,
Eoli depositari di vènti hertziani
Sirene altissime con canali voluttuosi
Cerberi sponsor di rapsodi e citaredi,
Circi con liposuzione e guardie del corpo,
sovrani in esercizio, in pensione o candidati
con corteggio di mimi e di sofisti.
Appena riconobbe i ragionevoli travestimenti
perfino dei suoi amici di gioventù
Telemaco confessò che pure lui abbelliva
le sue ambizioni, anche le più meschine,
ma nessuno badò ad autocritiche e confessioni,
ciascuno era occupato nelle sue faccende.
Quando fece ritorno al suo piccolo entourage
Telemaco non ritrovò la stessa sicurezza,
si accorse che perfino lì qualcuno lo considerava
come un utile residuo istituzionale

di un lontano e ormai mitico passato.
 

 

Ellenika VI


Di lance e guerrieri
(a Lucio Mariani)

L’amico poeta italiano mi parlava
della lancia di Alessandro Magno
che si avventa per trafiggere Dario
così come lo raffigura il mosaico di Pompei
tra una moltitudine di lance orizzontali o inclinate
strumenti di morte e di bellezza insieme.
Soòigliano, diceva, alle lance mobili
nei tre dipinti di battaglia di Paolo Uccello.
O alle lance erette di Velázquez,
aggiunsi io, nella Resa di Breda,
perfino alle lance dorate
nella Ronda notturna di Rembrandt.
Belle molto le fitte lance, foreste
di fusti affusolati, rami robisti lisciati con l’accetta,
le punte luccicanti di metallo:
dimentichi la morte, resta soltanto la bellezza.
Ma quella stessa notte riflettei
su come soffre il corpo quando l’asta
gli si configge nelle viscere oscure,
a come si dibatte mugghiando finché rende l’anima.
Dal ricordo, però, affiorava di nuovo la bellezza
delle rappresentazioni policrome con innumerevoli lance
con migliaia di guerrieri sulla scena
intrepidi di fronte all’offensiva del tempo.


Ellenika VII


Storia di Sisifio

Lo vide e restò senza parole
non poteva credere di esserci riuscito –
dopo l’ennesimo tentativo
era finalmente arrivato in cima al monte.
Per tanti secoli aveva spinto il masso
un passo dopo l’altro su per la salita
o era corso indietro quando gli sfuggiva
per riprenderlo e ricominciare da capo,
non aveva mai intravisto la vetta,
e adesso eccolo giunto fin lassù
col masso immobile al suo fianco.
Tentò di smuoverlo, si assicurò
che fosse ben saldo, prese fiato,
si voltò a godersi quella vista infinita
e all’improvviso si arrestò –
se il supplizio fosse finito così bene
si sarebbe estinto anche il mito,
sarebbero cessate le continue interpretazioni
nessuno avrebbe parlato più di Sisifo.
Con le forze residue spinse il masso
per farlo rotolare verso il fondo.

 

* Cfr. T. Patrikios, La resistenza dei fatti. Introduzione di F. Pontani. Trad. it. di N. Crocetti, Milano 2007.


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