La laminetta orfica di Hipponion
la tenevi stretta
o pia defunta
la lamina d’oro
nella mano ripiegata
all’altezza del fianco
o
già davanti agli occhi
per darti luce nel buio
lampada con parole
ancora piene di suono
a rischiararti il sentiero dell’Ade
piegata nel buio
per sottrarre ai profani
segni arcani
occhi a cercare occhi
tra le colonne del buio
occhi rischiarano altri occhi
solo col ricordo di luce
sotto l’acqua le colonne
sono ancora piene di canti
hai la traccia stretta nella mano
se la memoria si stinge
o già in bocca
pronte all’uso
le lettere che parlano all’Altrove
con altra voce
nell’incisione dell’oro
dalla bocca piena di ombre
toglie l’ombra l’oro
che non si stinge
nel cavo trovi dimora
che al fondo si scava
neanche l’eco delle sacre parole
in bolle s’eleva
stringi in quell’oro come in uno specchio
la lamina dei pendii
con righe di pietra
e di olivi
lamine allora
di spighe in preghiera
nel soffio
lamina taglio di tempo
che emerge
il buio di allora
altri vedono ancora
bronzo 1
non sai come tenere
le mani
in cerca della presa
bronzo 2
la storia a volute
attorno alla tua barba
tesa la pelle
nell’energia verticale
**
sono in movimento
sul filo della bilancia
l’occhio è fuori di sé
*
l’occhio vi gira intorno
cercando il vostro cerchio
**
furono
e
sono
i bronzi
dopo il lungo dormiveglia nell’acqua
**
puntano alle linee tonde
dell’esistere
al nucleo già sciolto
nella soluzione in fiore
di due stagioni
attendono
ancora attendono
l’insufflante
*
per voi non esiste
il mai
ma
il sempre così
senza condizioni
**
cosa è rimasto del cuore
niente
oppure il tutto diffuso
in quella pelle
in quella mente
*
guardo
guardate
guardiamo l’intorno
come ad ogni alba inondata
che poi tonda richiama
guardando la «Torre di Babele» di Brueghel (Vienna, 25/05/14)
quando i dettagli più semplici
si sfaldano
e gli operai vanno su e giù
non sapendo più dove posare le pietre
i piani chiedono invano
ad altri piani di sostenerli
la lingua-voce non è più collana di perle unica
attorno al collo e alla gola
ma in vetro infrante le voci del quotidiano
e in frantumi
anche i richiami di porte e archi
il colore allora
compare e scompare
è carezza e graffio sottile
poi ancora carezza
abrasione infine
in traccia
sulla tela che tesse
e non tesse
Luce è lo sguardo della nutrice
è svelamento è riconoscimento
come Euriclea che in Ulisse rinvenne
la terribile cicatrice
uno sguardo che pare di marmo
una lama
ma che s’infiamma alle gesta del pargolo
in un angolo come di focolare
sempre acceso e sospeso
*Cfr. R. Cortiana, La tela e il drago. Omaggio a Carpaccio, Venezia Mestre 2017, p. 15.
zampe contro zampe
testa contro testa lì s’innesta la lancia
che trafigge la gran gola
che franto avea l’arto del guerriero
della giovane salvato solo il seno
esala il sangue fino a diventar pozza
su quelle ossa spente
non serve proprio a niente
e l’ala è solo un cenno
greve che ormai più niente leva
mentre l’artiglio graffia l’aria
e soltanto l’aria aumenta
fora la tua lancia anche il monte
mira al traguardo lontano
tra i perigli d’altri navigli
e vince gli occhi chiusi vince gli occhi vuoti
di quei morti
fuga di monaci sollevando l’aria
impauriti a destra e a manca
dal leone non c’è scampo
il leone mangia le ore
divora in un boccone tutto il sole
si sottrae a balzi la cerva-luna
che nell’ago del tempo cerca la sua cruna
un orizzonte è il corpo
un grande orizzonte è il sogno
che ombre porta a convegno
rinvia il garofano all’amor profano
il mirto all’amor divino
la stanza è un immenso segno
traccia l’angelo il disegno
riscopre la fragranza
delle non-parole dell’IN-FAN-TIA
– addio ai fasti della corona –
e annuncia il dopo
il sacro scopo
tra l’ombra a destra e una luce desta
straripa il sogno
in altri teleri tutto a veli
Sant’Agostino
Sant’Agostino s’inoltra nei meandri
della Trinità
si meraviglia poi del bambino
che cerca di vuotare il mare in una buca
con una conchiglia
Sacra Conversazione
i visi si cercano?
quelli di San Giuseppe
di Sant’Anna
della Madonna che regge il Bambino
Santa Elisabetta con l’occorrente per il cucito
di San Zaccaria che verso la parola centrale
con tutto il corpo si protende
due gazzelle
due angeli musici
un ponte di roccia dietro a loro
nell’ovale che intatto rimane
quasi due mani
due braccia
di roccia in una stretta
ad abbracciare case e campanili
e cime lontane
mordicchia le verdi foglie
e i fiorellini colorati
della pianticella che si leva
contro l’arido suolo della città pagana
e i secchi cuori degli infedeli