Minerva
A sera rincasava scontenta della sua giornata.
Troppi frenetici scambi le hanno imposto.
Vorrebbe vivere altrove, e poi altrove ancora,
per sentirsi infine remota e pur nuova,
come la casa che la ospitò ragazza,
circondata di miosòtidi, allusiva
promessa d’uno sbocciare augurale.
Vorrebbe ritornare vergine
per perdere la verginità ogni volta ...
Ancora altre cose vorrebbe, ma è troppo
stanca la sera per protestare
il suo sradicamento, per fare qualche cosa
di diverso da quel che si fa ogni volta
che di vuole fare qualche cosa di diverso.
Crede di essere vissuta in altre perse ragazze,
ora musive, in epoche diverse, o anche in un melo,
in una serpe, nel gelo dell’unicorno.
Ho lasciato Minerva in una New York
troppo vasta per la sua anima, sull’onda
montante di gente inconoscibile per sempre.
La sento, irascibile, parlare col mare, la notte.
Vorrebbe comprendere la città con acuiti sensi,
tutti conoscere, amare del loro amore,
parlare con le loro stesse parole.
S’infligge penitenze, remote colpe, andando
con la perduta gente in un’assenza
tanto consistente. L’ho lasciata
mentre interrogava Tiresia nell’incolmabile,
tra i grattacieli. L’ho lasciata.
Eppure ogni volta la ritrovo
in ognuna che credo di vincere,
in ognuna che, morendo, vince.
Ora comincia ad essere dovunque.